Avevo una voglia matta di un disco così, ma me ne sono reso conto solamente nel momento in cui ho iniziato ad ascoltarlo. Una voce nera, nera, nera, nera, nera in splendida solitudine si è immediatamente aperta un varco nel petto, insinuandosi dentro me e spalancandomi un mondo di passioni fino a conquistarmi inesorabilmente. Ed ora non ne posso fare più a meno. So di avere tonnellate di dischi da parte in attesa. Ma so altrettanto bene che adesso aspetteranno, oh se aspetteranno, perché questi 40 minuti scarsi di musica non usciranno dal mio lettore tanto presto. Già... perché, anche se non lo sapevo, desideravo pazzamente una musica che avesse il ritmo del sangue, raccontato da delle chitarre essenziali a contorno di una voce soul immensa, capace di colpire nel segno senza lasciarsi andare ad inutili ricami. Una voce così bella da essere capace di dare brividi pazzeschi e indimenticabili. Una voce profonda e ruvida che richiama sì grandi nomi del passato, dalla magnificenza di un Aretha Franklin alla sofferenza di Janis Joplin, ma comunque in grado di non diventare qualcosa di noiosamente standardizzato, mantenendo sempre tratti peculiari ed originali.

Del resto la signora Lavette non è una giovincella, ha quasi sessant'anni, e non è nemmeno l'ultima arrivata. Infatti, nonostante sia stata per lungo tempo dimenticata da una poco lungimirante industria discografica, questa incredibile cantante di Detroit negli anni '60 si esibiva con gente del calibro di James Brown. Poi arrivò il buio, il lungo silenzio, dal quale è stata pienamente sdoganata tre anni fa con l'album "A Woman Like Me", ed ora rinnova la sua luminosa presenza in questo mondo di cartapesta con un disco vero e indimenticabile, che senza dubbio si pone come uno dei più belli di questo 2005. Così bello da farmi domandare "quanto tempo era che non ascoltavo un disco così?" A pensarci bene neanche me lo ricordo. Certo di musica interessante me ne è passata tanta tra le mani in quest’ultimo periodo, ma un disco di un'intensità emotiva del genere non lo ricordavo da tempo. Questo lavoro ha qualcosa di più: ha un'anima nera, profonda che ti scuote dentro. E questa è avvolta da un mantello di suoni semplici che sembrano arrivare direttamente dagli anni '60: chitarre acustiche ed elettriche, piano Wurlitzer, organo, un basso profondo, batteria. Orpelli pochi e niente, non servono. In questo si coglie la capacità del produttore Joe Henry, uno che della raffinatezza musicale ha fatto un manifesto di vita, e l'intelligenza della casa discografica Anti records che da tempo si sta caratterizzando per scelte di limpidissima classe. In più abbiamo un particolarissimo repertorio di cover, tutto al femminile. Da Lucinda Wilians a Dolly Parton, passando attraverso Sinead O’ Connor, Joan Armatrading, Aimee Mann e Fiona Apple. Donne in musica, donne bellissime tutte splendidamente fagocitate e trasfigurate dall'anima di questa pazzesca interprete che dall'inizio alla fine non lascia all'ascoltatore che vibranti brividi soul, blues, funky, R&B, che traducono sentimenti come dolore, amore, rabbia, sofferenza. Suoni antichi, appena riverniciati in modo tale da sembrare nuovissimi, essendo capaci di spazzare d'incanto tutta la spazzatura trendy e plastificata che si sente in giro.

Un disco immenso, un piccolo miracolo, una sorpresa magnifica che ha scosso il mio pur bello 2005, mentalmente archiviato troppo presto. Comparsa Bettye, insomma, tutto è diverso. Non un consiglio, ma un imperativo: prendetelo, chiudetevi in casa ed ascoltatelo. Vi cambierà.

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