"Non sono io che canto il fado, è il fado che canta in me"

Nasce in luoghi nascosti e diviene una vibrazione danzante nell’aria, arrivando a noi per trasformarsi in un’elettricità lieve, drammatica, dolce e intensa che percorre in un istante tutto il corpo con il solo scopo di emozionarci. È il fado (dal latino fatum, fato), un canto che parla all’anima, perché viene dall’anima. Nessuno sa bene come e quando sia nato, ma tutti lo identificano con una terra: il Portogallo. Ed è proprio in questo paese ricco di storia, tradizioni, culture che Bévinda Ferriere è nata, benché l’abbia lasciato per andare in Francia quand’era solo una bimba. Questo, però, non le ha impedito di diventare con gli anni una delle interpreti più importanti ed originali di questa musica antica, ma ancora viva. Ed è evidente, ascoltandola, che deve aver portato dentro di sé la sua terra per farla oggi risplendere, anche alla luce del suo attuale status "francese", in nuovi suoni, densi di grazia e suggestioni.

Il suo ultimo e bellissimo lavoro in studio, "Luz" (Chant Du Monde – 2005), è un chiaro esempio di come sia possibile interpretare in chiave moderna una musica con radici profonde e misteriose, che sa di mare e nostalgia. Così, partendo dal fado, la voce di Bévinda si distacca della tradizione e vola dalla Francia al Portogallo, sfiora quindi la Spagna per poi attraversare il mediterraneo e guardare ad oriente. L’ascolto diviene un modo per viaggiare con la mente ed immaginare affascinanti mondi lontani nello spazio e nel tempo. Così in "Luz" non ritroviamo rispecchiata una sola cultura, perché questa musica vive di colori diversi come quelli che campeggiano nella significativa copertina. Alcuni li possiamo rintracciare nel brano di apertura del disco "Estrada n° 4" in cui la voce della cantante dona l’idea di una felice passeggiata fra il confuso chiacchierio della gente. Si percepisce in questo passaggio un’immensa vitalità e si comprende da subito che la sua musica non deve essere identificata esclusivamente con la drammaticità. È, infatti, non solo un crocevia di riferimenti culturali, ma anche di sentimenti diversi armonizzati dalla sua stupenda voce. Ciò non toglie che nel disco ci siano spazi anche per momenti struggenti ("Punta") o delicate malinconie, come nella ninna nanna "Dorme Amorino" in cui la voce di Bévinda riesce a diventare un caldo abbraccio che consola e incanta, anche grazie al sottofondo di seconde voci e percussioni arabe.

Lungo tutto l’ascolto, inoltre, appaiono in chiara evidenza le chitarre di Philippe de Sousa (classica, portugaise, cavaquinho) e Mathias Duplessy (flamenco, liuto) che rappresentano non tanto un accompagnamento, quanto una necessità per gli sviluppi melodici della cantante franco-portoghese, al pari della sezione ritmica di Philippe Foch, la quale si distingue per l’utilizzo di tabla, udu e cajon. Ma su ogni nota, su ogni piccolo momento musicale si eleva la voce di Bèvinda che riesce ad essere sensuale, impetuosa, delicata, dolce, profonda, elegante, regalandoci un disco di limpida bellezza, che forse molti non ascolteranno, sempre che il fato non decida diversamente.

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