Escludendo Brian Jones, il primo degli Stones ad intraprendere la carriera solista è Bill Wyman nel 1974, con "Monkey Grip" (come i più informati sapranno, Mick Jagger e Keith Richards debutteranno, rispettivamente, nel 1985 e nel 1988): il bassista è quindi il primo a mettersi in luce nella nuova, suggestiva dimensione di "Stone Alone", che è anche il titolo di un suo album del 1976, oltreché della propria, interessantissima autobiografia pubblicata (fra l'inevitabile scalpore, viste le rivelazioni che conteneva) nel 1997.

Racconta il Nostro: "Avevo bisogno di svestire i panni dello Stone. Gli Stones possono rappresentare l'intera vita di Keith, ma non la mia". "La musica mi piaceva, non mi piaceva lo stile di vita degli altri del gruppo"; da dichiarazioni del genere emerge una personalità di certo più introversa e riservata rispetto a quella dei Glimmer Twins, degna di un "side-man" che per anni ha ricoperto un ruolo marginale all'interno della band, per certi versi affine a quello di un Charlie Watts.

Ruolo marginale in quanto ad immagine, a ben vedere, considerato che l'importanza di Bill nella definizione di quel sound leggendario è tutt'altro che trascurabile, e affonda le sue radici in una conoscenza enciclopedica del Blues elettrico, del Rhythm & Blues come anche del Boogie e del Rock'n'Roll più canonico (Wyman è un maniacale collezionista di quei generi). Lo stile bassistico di Bill (caratteristico anche nel particolare approccio allo strumento, data l'abitudine di suonare le note all'altezza del manico) ha fatto scuola tra Sessanta e Settanta, e tuttora si lascia apprezzare per varietà e gradevolezza della timbrica, una timbrica molto incisiva e "percussiva", ma anche melodica al punto giusto (doti non sempre frequenti nei bassisti Rock).

Purtroppo (ma ho paura il vecchio Bill non sarebbe d'accordo con questo mio "purtroppo") il sodalizio con Jagger e soci si è ormai concluso da quasi un ventennio, da quando cioè, il 6 febbraio 1993, il Nostro rilasciava un'intervista al "London Tonight News" in cui ufficialmente dichiarava un divorzio che era da tempo nell'aria. Non una pensione anticipata, però, dal momento che Wyman (all'anagrafe William George Perks, classe 1936) di tutto aveva intenzione meno che di ritirarsi dall'ambiente musicale.

Oltre a riscoprire la sua singolare passione per l'archeologia e a seguire da vicino una rinomata catena di ristorazione su cui aveva investito un occhio della testa (il nome della catena è tutto un programma: "Steaky Fingers"), Bill continuava (e continua tuttora) a portare avanti la sua carriera da solista, passata attraverso piccoli gioiellini di creatività Rock'n'Roll e la riscoperta delle radici Blues, come evidente nello splendido "Willie & The Poor Boys", titolo (preso a prestito dai Creedence) di un album del 1985 in cui il bassista si faceva accompagnare da un combo e da ospiti d'eccezione come Jimmy Page, e in cui rileggeva da par suo una sfilza di classici (fra questi, "Baby Please Don't Go" e la berryana "You Never Can Tell").

Nel 1997 l'instancabile Bill ha però messo mano a un nuovo suggestivo progetto, quello dei Rhythm Kings, con cui tuttora effettua tournée in giro per l'Europa e l'America: formazione più che mai aperta e variabile, che negli anni ha visto l'intervento di illustri amici come l'ex-Procol Harum Gary Brooker, una leggenda del primo R&B inglese del livello di Georgie Fame e il grande, ma poco noto al grande pubblico, Albert Lee (gli appassionati di Eric Clapton sapranno di chi sto parlando), oltre al collaboratore di sempre Terry Taylor.

"Struttin' Our Stuff" è il primo capitolo del progetto, un album vibrante e gustosissimo in tutte le sue pieghe, ove ad essere esaltate al meglio sono le radici, il "background" musicale del bassista, non la solita "minestra riscaldata" che ci si potrebbe aspettare ma una bella pagina di schietto Rock-Blues (con elevate dosi di Swing e Soul), per giunta valorizzata dalla qualità dei fuoriclasse coinvolti nelle sessions di studio. Basta dare un'occhiata alle note di copertina: c'è il pianista Max Middleton (già con Jeff Beck), c'è Sua Maestà Eric Clapton (ascoltare il suo assolo in "Melody"), c'è Peter Frampton, c'è addirittura (ripescaggio di lusso, questo) Paul Carrack, vocalist che alcuni ricorderanno aver affiancato, negli Ottanta, Mike Rutherford nei Mike & The Mechanics.

Il gusto di Bill, la sua competenza e la sua cultura musicale sono testimoniati anche dalla particolare scelta del repertorio, a metà fra classico e moderno, fra passato e presente: capita così che in scaletta, accanto a brani arcinoti come "Tobacco Road" e "Green River" (chissà cosa avrà pensato John Fogerty ascoltando questa ruspante versione), convivano begli originali e soprattutto una chicca (la già citata "Melody") proveniente da una pagina meno nota del repertorio Stones, quel "Black & Blue" del 1976 che molti - e non a torto - considerano fra i punti più bassi di un'intera discografia; dallo stesso album proveniva il Funk di "Hot Stuff", cui Wyman ironicamente si richiama nell'accattivante "Stuff".

Ogni tanto il bassista fà capolino con la sua intrigante vocalità (molto adatta ai generi proposti e per certi versi analoga a quella di un Keith Richards, seppur con maggiore predilezione per i toni bassi), sovente facendosi accompagnare dalla vocalist Beverley Skeete; colpiscono gli arrangiamenti, sontuosi, vivaci, "old style" e vagamente "new-orleansiani" che l'ensemble, pur non vincolato ad una formazione fissa, è in grado di creare: il tutto rispettando una coerenza d'insieme, così da garantire un ascolto gradevole e mai monotono, oltretutto facilitato dal rispetto del "chilometraggio" tradizionale di un vecchio Long Playing (oggi, come si sa, i dischi durano troppo, ma i quarantaquattro minuti di "Struttin' Our Stuff" scorrono che è un piacere, senza inutili ricercatezze o prolissità: per lo più, sono brani di due o tre minuti).

E' un album da quattro stelle, e sugli stessi livelli si pone il resto della produzione dei Rhythm Kings, a cominciare dagli imperdibili bootleg, divertenti enciclopedie del più genuino Rock'n'Roll (dal vivo Wyman ama spesso eseguire pezzi come "Mystery Train", "Good Golly Miss Molly", e anche un misconosciuto Blues, già parte del repertorio degli Stones, a cui è particolarmente legato: "Down Home Girl"). L'anima più Blues degli Stones non la trovate senz'altro in certa patinata produzione di Mick Jagger, ma in album come questo: di non facile reperibilità, certo, ma l'ascolto ripagherà tutta la vostra dedizione. Un pezzo pregiato che non può mancare nella personale discografia dei "fanatici" del genere.       

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