"Per qualche tempo potete ingannare tutti, potete ingannare qualcuno per sempre ma non potete ingannare tutti per sempre".

Ecco, in una frase, la morale di questa bellissima commedia di Billy Wilder (ma ne ha dirette mai di brutte?), scritta sul bigliettino di un biscotto della fortuna di un pasto cinese (da cui il titolo originale "The Fortune Cookie"), col furbo avvocato Willie Gingrich (Walter Matthau) che, dopo averlo buttato via, pronuncia un laconico "Questi cinesi. Che ne sanno!", chiudendo ad arte uno dei sedici folgoranti capitoletti che compongono questo film.

Un film che, nonostante non sia fra i più citati di Wilder, è importante per  almeno due motivi. Primo perché fu un successo di pubblico che rimise in carreggiata il regista viennese dopo il flop commerciale e critico (almeno negli Stati Uniti) di "Baciami Stupido". Ma soprattutto lanciò la fantastica coppia Lemmon-Matthau, praticamente inventata da Wilder (che scrisse la sceneggiatura, insieme al fido I.A.L. Diamond, avendo già in mente i due attori). Una coppia d'assi della commedia che ha fatto la storia del cinema brillante. Mentre ne "La Strana Coppia" e "Buddy Buddy" Lemmon è il rompiscatole maniaco-depresso che tormenta Matthau, in questo film, così come in "Prima Pagina", il persecutore è invece Matthau, nei panni dell'avvocato Gingrich, che quasi costringe l'ingenuo cognato, il cameraman Harry Hinkle (Jack Lemmon) a fingersi paralizzato per intascare il risarcimento dell'assicurazione dopo che quest'ultimo è stato travolto da un giocatore durante una partita di football (un espediente che ricorda la tentata truffa di Walter Neff ne "La fiamma del Peccato").

Inutile dire che quì i due fanno veramente faville con Matthau che furoreggia nei panni del vulcanico Willie (uno che "troverebbe una scappatoia nei dieci comandamenti") dalla voce bassa e dal tono truce, la faccia di gomma e dal classico andamento dinoccolato. Un'interpretazione maiuscola che, tra l'altro, fece vincere a Matthau un meritatissimo oscar oltre a causargli anche un attacco cardiaco due mesi dopo l'inizio delle riprese come era già accaduto a Peter Sellers sul set di "Baciami Stupido". Lemmon invece, costretto quasi sempre da un busto e un collare, ha meno occasioni di mettersi in mostra ma riesce comunque a risaltare nei momenti più riflessivi e ad essere anche divertente ad esempio nella scena del balletto sulla sedia a rotelle o quando viene sottoposto alle torture dei "luminari" che dovrebbero accertare l'entità della sua invalidità (il più tosto dei quali è un nevrotico psichiatra dall'accento teutonico che ripete solo e continuamente "Simula!").

Se Willie agisce nei confronti del debole Harry da diavolo tentatore, l'ingenuo campione nero Luther "Boom Boom" Jackson, convinto di avergli causato la paralisi, è un po' lo specchio della sua cattiva coscienza. E' proprio  il rimorso reciproco dei due che contribuisce a connotare la seconda parte del film di un tono più malinconico da commedia triste (su cui dominano le languide musiche di Andre Previn). E' una bella amicizia virile la loro in cui qualche critico ha voluto vederci dei caratteri di amore omosessuale, considerando anche l'insipienza e la grettezza dei personaggi femminili (la scialba sorella di Harry, la possessiva madre in continue crisi di pianto e, soprattutto, la rapacità della ex-moglie Sandy (Judi West), dalla provocante ma volgare bellezza, attirata soltanto dal miraggio dei soldi per rilanciare le sue velleità artistiche da starlette di terz'ordine). E' significativo poi che la "depressione" di Boom Boom sembra aver inizio nel momento in cui, accompagnando Sandy dall'aeroporto alla casa di Harry, si accorge dell'assoluta meschinità della ragazza alla quale Harry è ancora disperatamente legato. Ad ogni modo a me sembra che Wilder non abbia voluto calcare tanto la mano su questo aspetto almeno non così palesemente come invece ha fatto in altri film, come nel caso dell'amicizia Holmes-Watson ne "La vita privata di Sherlock Holmes".

Come qualsiasi "morality tale" che si rispetti  i nodi vengono comunque al pettine quando lo scaltro investigatore privato (Cliff Osmond) ingaggiato dagli avvocati dell'assicurazione (le tre "aquile del foro"), accortosi dell'amicizia particolare tra Harry e Boom Boom, comincia a denigrare razzisticamente i giocatori di colore provocando l'irosa reazione di Harry che rivela platealmente la messa in scena davanti alla cinepresa nascosta nella casa di fronte mettendosi a volteggiare come un ginnasta in una scena che non può non richiamare, in chiave più buffonesca naturalmente, il finale di "Viale del Tramonto"  (con Harry contemporaneamente regista e star). Il film si chiude con un finale agrodolce analogo a quello de "L'appartamento" (dove Bud e Fran finivano col giocare a carte) in cui i due outsiders Harry e Boom Boom (in quanto unici personaggi che conservano ancora un senso morale in un mondo dominato dal cinismo) si scambiano il pallone ovale nello stadio di football deserto. Come C.C. Baxter, Harry è un "looser"senza rimedio, rimasto senza lavoro, senza soldi, senza donna ma con una nuova grande amicizia; questo è il prezzo pagato per aver rispettato la legge morale dentro se stesso. Non proprio un Happy Ending, forse, ma di certo il massimo che il salubre cinismo Wilderiano avrebbe potuto concedere.

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