Il motivo per cui il quarto capitolo non era piaciuto tantissimo rimarrà per sempre uno dei misteri irrisolti dell’universo, materiale per Roberto Giacobbo insomma; ma intanto ecco che Steven Wilson torna ad essere compositore in pianta stabile nei Blackfield per questo quinto capitolo del progetto che lo vede coinvolto assieme all’israeliano Aviv Geffen.
La formula non cambia e quindi la proposta è sempre orientata verso un rock melodico, leggero, semplice ed essenziale ma senz’altro di qualità; ho sempre definito i Blackfield come il nome da consigliare a chi volesse un rock melodico e diretto e questo disco lo conferma. Qui si osa di meno rispetto al precedente, lì fra soluzioni nuove e svariati guest vi era un po’ più di coraggio a quanto pare non molto ripagato.
13 brani che scorrono piacevolmente fra armoniose e leggere parti di chitarra, arrangiamenti d’archi consistenti ma delicati, atmosfere rilassate e primaverili, nonché malinconiche.
Ma come sempre nelle composizioni del duo la semplicità diventa anche classe, anche nella semplicità riescono a trovare quel qualcosa che li rende unici e difficilmente imitabili nel soft-rock; il sostenuto riff di chitarra di “Family Man”, gli arpeggi molto alternative di “We’ll Never Be Apart”, il connubio ritmo sostenuto-melodia struggente di “Lately”, il giro di piano classicheggiante di “October”, la strumentale “Salt Water”, le ritmiche e i suoni soffusi quasi trip-hop di “Lonely Soul”, le melodie notturne di “From 44 to 48”… sono tutti esempi delle doti dei Blackfield. Le caratteristiche che rendono adorabili i Blackfield ci sono tutte e direi senza problemi che questo disco non ha nulla da invidiare a lavori considerati più importanti come i primi due… tranne per chi cerca sempre il pelo nell’uovo!
Eh sì, secondo me chi si trova a valutare i Blackfield lo fa basandosi troppo sui primi due album e cercando inutilmente il pelo nell’uovo, e ciò finisce per influire negativamente sul giudizio. Invece bisognerebbe prenderli per la loro semplicità ed ascoltarli senza troppe seghe mentali e pregiudizi.
E “Blackfield V” richiede esattamente quest’approccio, un approccio di leggerezza che non deluderà!
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