Ormai i Blackmore's Night sono diventati una mia esclusiva: dopo "Autumn Sky" (ottimo) e "Dancer & The Moon" (deludente) tocca ancora al sottoscritto presentarVi l'ultimo album di casa Blackmore. Bello, vero? Come prima cosa, devo riconoscere di aver (in parte) sbagliato la mia previsione sul futuro del progetto; la scialba prova del 2013 mi aveva infatti portato a ipotizzare un declino ormai irreversibile per Ritchie e Candice, ma "All Our Yesterdays" dimostra in primis una lodevole caparbietà nel voler continuare sulla propria strada, e, comunque, rappresenta una parziale e onesta ripresa in termini qualitativi, e di questo non posso che esserne contento.
Resta il fatto che gli anni migliori sono ormai alle spalle, penso definitivamente: "All Our Yesterdays" non regge il confronto con i fasti dei periodi 1997-2001 e 2008-2010, al di fuori della cerchia dei più convinti e assidui aficionados dei B/N il suo appeal non può che essere molto limitato ma si tratta comunque di un ascolto gradevole, che merita la giusta attenzione e approfondimento. Dopo il disomogeneo, stanco e farraginoso "Dancer & The Moon", Ritchie e Candice proseguono all'insegna di un tranquillo "conservatorismo", eliminando alcuni orpelli e prolissità che avevano compromesso il precedente album: ne risulta un dischetto relativamente snello e lineare, con un sound più acustico e connotazioni irish più marcate rispetto ai predecessori; l'elettronica è praticamente assente e Ritchie si concede alcuni assoli, sempre brevi, sempre brillanti. "Once, not very long ago, of very far away, we used to laugh until the break of day. Now the days are colder, I can't help but wonder why or how we could have ever let that fire in us die", Dama Candice inizia così: Una velata autocritica? Con ogni probabilità si, e l'inziale titletrack, rifacendosi alla tradizione dei B/N più scanzonati e danzerecci, garantisce un primo approccio piacevole e incoraggiante, di buon auspicio. L'estro e la raffinata opulenza delle prove migliori ormai sono solo un ricordo ma la classe "consumata" c'è ancora, il che significa che Ritchie Blackmore e signora sono ancora in grado di esprimersi costantemente su buoni livelli, lo dimostrano episodi come "Long Long Time", ballad acustica sobria e pregevole, oppure le agili e vibranti "From The Other Side" e "Will O' The Wisp", che ripropongono commistioni tra antico e moderno in chiave molto accattivante, così come la più estatica "Earth Wind And Sky" e "Coming Home", che chiude con un tocco di bucolica e spensierata allegria.
Una manciata di buoni pezzi, piacevolmente acqua e sapone, a cui si aggiungono anche una ben riuscita cover di "Moonlight Shadow", reinterpretata con un perfetto compromesso tra garbo e brillantezza e, per quanto riguarda "l'angolo di Ritchie", un paio di incisive cavalcate strumentali, "Allan Yn n Fan", tradizionale melodia gallese caratterizzata da briosi intrecci tra fiddle e cornamusa, con la chitarra elettrica a fare da collante, e infine la più solenne "Darker Shade Of Black", di evidente retaggio classico: organo, archi, cori, clavicembalo e la sei corde del MIB ad alternarsi in sei gustosi minuti di variazioni sul tema. In sintesi, direi che "All Our Yesterdays" rappresenta un intelligente ridimensionamento nel percorso dei Blackmore's Night; gli anni passano inesorabilmente, non solo per Ritchie ma anche per Candice: negli episodi più vivaci, come "Moonlight Shadow" e la titletrack non si può non notare un timbro più secco e legnoso, visibilmente invecchiato. Eppure questi due non si danno per vinti, e tengono ancora botta con assoluta dignità; contenti loro, contento anch'io.
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