"For My Friends". La dice lunga il titolo di questo album dei redivivi Blind Melon. Dopo la morte di Shannon Hoon nel 1995, l'idea dei fans (compreso il sottoscritto) era che la storia dei ragazzi innamorati dei Grateful Dead e delle jam rock fosse conclusa. Troppo particolare, bella e sofferta la voce del cantante dell'Indiana per poter essere rimpiazzata. E troppo uniti i cinque musicisti per poter decidere di far entrare nel gruppo un altro singer. Invece dopo 13 anni dal bellissimo "Soup", chiamano alla voce un certo Travis Warren e danno alle stampe questo "For My Friends".
Premessa importante: il tal Warren subito dopo l'uscita del disco e dopo alcuni concerti ha deciso di lasciare la band. Ciò rafforza l'impressione che si ha ascoltando il disco, e cioè che effettivamente i Blind Melon abbiano deciso di rimettersi dietro il banco di registrazione per...noi! Per i fans, per chi era orfano di un certo rock libero dagli accordi massicci e dai riff devastanti. Per quelli che negli anni '90 avevano trovato in questo combo una ventata di freschezza tipica delle jam band. E forse lo hanno fatto anche per loro, dimostrando che presi insieme riescono a creare una amalgama unica ed inconfondibile. Si divertono, insomma.
E le canzoni, inaspettatamente, sono ad un livello altissimo. Molto superiori anche al bellissimo "Soup". La formula è sempre la stessa, con intrecci di chitarre sinuose, grande spazio alla melodia ed una voce pronta a scoppiare nei ritornelli. In questo, Warren altro non è che un clone di Hoon. Ma non è un dato a sfavore, anzi è una costrizione perchè solo con una voce dagli alti vibranti ed instabili potrebbero essere i Blind Melon. Ascoltare "With The Right Set Of Eyes" per credere, dove gli ingredienti ci sono tutti e tutti ben mescolati.
Il lato acustico, altro amore del gruppo, è ben dosato. "Wishing Well" è come da copione, compresa una certa tristezza tra le righe, così come la title-track che ricorda certi episodi di Hoon che sembrano brani scanzonati e divertenti ma in realtà nascondono un lato introspettivo e depresso. Senza indugio, i meloni ciechi proseguono sulla strada che avevano lasciato quasi tre lustri fa, continuando a sperimentare canzoni dalle strofe traballanti e cambi di ritmo della batteria, come se fossero in studio di registrazione con la luce rossa perennemente accesa ed il produttore a fare un taglia ed incolla continuo. "Down on the Pharmacy" è un crescendo inesorabile il cui ritmo è dettato dal rullante della batteria, che ricorda molto "St. Andrew's Fall", mentre i vuoti ed i pieni di "Father Time" portano sulle montagne russe, con una melodia limpidissima e le chitarre a disegnare note come in un quadro. Al solito, la coppia Stevens-Thorn sono indivisibili ed intrecciano le sei corde con facilità e gusto. In alcuni punti, si sentono echi di "Beast Of Burden" degli Stones.
Detto questo, non è un dramma che adesso siano di nuovo alla ricerca di un singer. Per quanto difficile sia trovare qualcuno che si avvicini alle vette di Shannon, l'approccio della band garantirà sempre spontaneità e quella leggerezza che li ha resi famosi.
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