Quella del grunge fu un’epoca caratterizzata da splendori e contraddizioni, soprattutto dopo l’esplosione di “Nevermind”. Le Majors e Mtv puntarono a più non posso su una serie di nomi che si riallacciavano al dominante universo seattleiano, sia nel riproporre un vigoroso e pastoso sound chitarristico, sia nel look scapigliato e flanellato (i Pavement avrebbero fatto una canzone di lì a poco,“Cut Your Hair”, ironizzando in tal senso).
I Blind Melon furono tra i gruppi inseriti nel carrozzone grunge a cavallo del 93, benché dei celebri stilemi nirvana-pearljamiani si trovassero poche tracce nel loro sound: un gusto melodico molto accentuato nello speziare le chitarre e il classico impeto zeppelianino qua e là. Il loro omonimo debutto fu trascinato  verso vendite milionarie dal clamoroso successo del video “No Rain”, benché tale opera non fosse qualitativamente particolarmente eccelsa. Il rovescio della medaglia nello show business è pero sempre dietro l’angolo. Il loro secondo album “ Soup”, uscito nel 1995, quando del grunge iniziava non importare più niente a nessuno, non fu altrettanto fortunato, in parte a causa della mancanza di un singolo altrettanto efficace.
Peccato, perché “Soup” fu un’opera davvero intrigante e andrebbe certamente rivalutata. Il quintetto americano sciorinò nelle 14 tracce presenti un roots-rock variegato che eluse con facilità le trappole del déjà-vu nel contesto americano del periodo, ricongiungendo con personalità il southern rock dei Lynyrd Skynyrd e l’alternative age dei Jane’s Addiction.

“Galaxie” fu il primo singolo, un brano potente e di impatto ma con una melodia maligna sullo sfondo. Certamente un passo avanti rispetto alla furbizia di “No Rain”. Sullo stesso registro si snodano riusciti groove zeppeliniani come “Dumptruck” o “2 x 4”, cui facevano da contraltare bislacchi numeri folk come “Skinned”, o le superbe ballate midtempo di “Toes Across the Floor”,"Walk” e “St. Andrew’s Fall”, pregne di agresti sapori midwest.
Non abbiamo citato i Jane’s Addiction a caso: il gruppo di Navarro stese la sua ombra in alcuni dei migliori episodi di “Soup”. Davvero ammaliante in tal senso è l’arabeggiante “Car Seat”, che rimanda chiaramente a “Of Course” del Vizio di Jane, oppure “The Duke”, nella quale i Blind Melon disegnarono sopraffini affreschi psichedelici californiani, filtrati da una notevole sensibilità new wave.

Il cantante Shannon Hoon era il fulcro del gruppo: modellava la sua voce acuta e fragilissima in un fitto gioco di rimandi armonici e plasmava le canzoni con le sue storie di droga e disagio – all’inseguimento di un disperato riscatto -  di cui dava un magnifico sfogo in musica. Struggenti elegie come “Mouthful of Cavities” e “Vernie” - impreziosite oltretutto da intrecci chitarristici post-roots da antologia -  stanno lì a dimostrarlo.

“Soup” fu quindi il miglior testamento possibile – Shannon morì qualche mese dopo la sua uscita, rapito dalla consueta overdose – di uno dei personaggi più autentici della stagione grunge, oltre a costituire un lavoro che tuttora sorprende e appassiona ad ogni ascolto.

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