I Blitzkrieg e la New Wave Of British Heavy Metal. Ovvero: come essere tra i capostipiti di una scena musicale e non farne mai veramente parte.

Il gruppo vede, infatti, la luce proprio agli albori del movimento, tra il 1979 e il 1980, per volontà di Jim Sirotto, giovane chitarrista di Leicester. Dopo un'iniziale fase di rodaggio (omaggiata, per un breve periodo, dal tocco femminile di Sarah Aldwinnckle dietro al microfono), la vera svolta arriva con l'ingresso in line up di colui che viene a buon diritto indicato come uno dei migliori cantanti dell'intera scena NWOBHM che fù: Brian Ross.

Proprio l'arrivo di quest'ultimo, infatti, permise al combo di attirare l'attenzione della Neat Records (etichetta tra le più attente e dinamiche del periodo), giungendo a debuttare sul mercato discografico nel 1981, con uno storico 7" dal titolo "Buried Alive/Blitzkrieg". Tale fu il successo di pubblico e critica (le circa 2500 copie stampate andarono letteralmente a ruba), che in molti si dissero certi nel prospettare ai nostri un futuro meraviglioso, ricco di fama, successo e tanta, tanta gnocca. Inutile dire che, a questo punto, intervenne il solito copione NWOBHM fatto di stravolgimenti di line up, abbandoni, rintronare di porte sbattute ed echeggiare di ‘anculo-ulo-ulo per i corridoi: pochi mesi dopo la pubblicazione del suddetto 7", Ross decise di abbandonare la band alla volta prima degli Avenger e quindi dei Satan (con i quali registrerà lo storico debut album "Court In The Act"). Solo circa quattro anni dopo, nel 1985, col ritorno all'ovile del cantante, il combo si riformerà per dare finalmente alla luce, il proprio primo (e qui recensito) full lenght.

Iniziamo subito col dire che "A Time Of Changes" è uno splendido disco di heavy ottantiano. Pressoché privo di orpelli sia in fase compositiva che di arrangiamento (se si eccettuano alcuni più che fugaci - e non sempre riusciti- innesti effettistici), si fonda essenzialmente sulla più classica delle formule metallare: chitarre (Sirotto e Procter) in prima linea, impegnate in un riffing certamente non elaborato, avaro di divagazioni e sperimentalismi, ma efficacissimo e di immediata presa sull'ascoltatore, con basso e batteria inevitabilmente relegati nelle retrovie. Su tutto, poi, emerge l'ennesima, ottima prestazione del leader Brian Ross, in questo disco, ancor più che in passato, deciso a far affiorare le sfumature più darkeggianti del proprio cantato (grazie anche ad un uso considerevole, ma non eccessivo, del riverbero), senza per questo rinunciare a quegli acuti spaccacristalleria della nonna per i quali è conosciuto e apprezzato tra gli estimatori del genere.

Il risultato finale è una band che si mostra decisamente a proprio agio con i brani più veloci e aggressivi: ottime davvero, a questo proposito, "Hell To Pay" dall'incedere punkeggiante e la spudoratamente priestiana "Armageddon". Episodi più opachi si rivelano, al contrario, l'hard rock oriented "Pull The Trigger" (rimasuglio della produzione Satan), e la fiacca "Take A Look Around": brani certo non esecrabili, eppure a mio avviso manchevoli di piglio e vigore, che soffrono di una generale monotonia e prevedibilità di struttura e songwriting.

Discorso a parte meritano, poi, due brani. In primo luogo la splendida title track (cavalcata doomy, impreziosita da ricami chitarristici di minore armonica davvero ben congeniati, con un tourbillon centrale di chitarre e rullate di batteria che la rendono, di fatto, il brano più articolato e suggestivo dell'intero pacchetto) e, soprattutto, il vero capolavoro del disco: "Blitzkrieg", splendido esemplare di power heavy ottantiano, inarrivabile se paragonata alla discutibile cover pubblicata qualche anno fa dal nano batteraio spocchioso e dai suoi amichetti beoni (che, in pratica, si sono limitati a "disidratare" le chitarre, finendo per farla sembrare un pezzo mancante di "Master Of Puppets".. e aggiungendoci un "indispensabile" rutto di chiusura).

Un ottimo disco, quindi, ma, come detto, non un capolavoro. Già, perché se da una parte "A Time Of Changes" dovrebbe preferibilmente far parte della discografia di ogni amante del chiodo anche a ferragosto, dall'altra, a mio avviso, manca qualcosa per poterlo davvero considerare imprescindibile: manca la magia, il colpo di genio, quel quid di innovazione ed estro in più che distingue i masterpieces. Lo stesso lavoro di Sean Taylor dietro le pelli è, in tutta sincerità, tutt'altro che esaltante, limitandosi, il più delle volte, ad una sorta di compitino metronomico che, se ascoltato attentamente, può risultare stucchevole. Se poi si considera che si sta parlando dello stesso batterista che solo due anni prima aveva registrato con i Satan l'eccellente "Court In The Act", una qualche perplessità è più che legittima.

Ma non basta. Al momento della pubblicazione ufficiale del disco, nel 1985, la scena inglese aveva in pratica esaurito il suo compito: creare l'heavy metal classico così come lo si sarebbe conosciuto e apprezzato negli anni a seguire. Ed è curioso notare come proprio il titolo di questo album dia la perfetta definizione per quegli anni. Era, a tutti gli effetti, "tempo di cambiamenti": era giunto il momento per altre scene musicali (ben più estreme) di raccogliere il testimone britannico per evolverlo fino a farlo giungere ai lidi sonori odierni. Ecco spiegato, allora, il motivo per cui "A Time Of Changes", se correttamente contestualizzato, finisce per essere un disco per certi versi già datato al momento della sua uscita, vittima del colpevole ritardo con cui i brani che lo compongono arrivarono alle orecchie di quegli stessi ascoltatori che già da diversi mesi si sollazzavano con i capolavori di Juda Priest, Iron Maiden, Angel Witch, o degli stessi Satan..

"A Time Of Changes" rimane comunque un'ottima testimonianza di quella che fu la NWOBHM e forse l'ultimo grande disco del movimento. Come se la band della libellula, dopo essere stata testimone della nascita di quella scena, fosse ritornata giusto in tempo per dire l'ultima parola alla sua veglia funebre.

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