“Ma così ci facciamo del male da soli!”
Apro con le parole di Moretti proprio per smorzare fin dall’inizio i toni, sfuggire a sterili polemiche e tentare una riflessione che vuole andare oltre i pregiudizi e le faziosità politiche. Poiché questi son dei fascisti, ragazzi! Nessuna ambiguità, nessuna possibilità di fraintendimento, nessun diritto di rettifica: questi ci sono e ci fanno. Lo chiarisco subito per chi c’avesse problemi a riguardo.
Quanto a me, che sono pure di sinistra, mi piacerebbe capire cos’è che porta una persona ad ascoltare ed apprezzare questo disco che, detto sinceramente, fa veramente di tutto per non farsi apprezzare. La stessa domanda la potrei porre in un altro modo: perché alla fine degli anni 60 c’era qualcuno che rifuggiva le rassicuranti note dei Beatles e preferiva lesionarsi i timpani con i fiumi di feedback e il caos selvaggio dei primi Velvet Underground? Perché alla fine dei '70 si sentì il bisogno di annichilirsi con il sound scarno ed inquietante dei Suicide? Non ci andavano bene le sonorità progressive di Pink Floyd e Genesis, le intelligenti sperimentazioni di Eno? E perché nell’86, anno di uscita di un disco così bello e completo come “Master Of Puppets”, c’era chi preferiva maciullarsi le orecchie con Bathory, Celtic Frost e compagnia malefica? E cosa dire dell’incredibile successo ed influenza di un album come “Scum”? Non è quello un disco oggettivamente brutto? E quale istinto malsano ci attira oggi verso la musica di Merzbow e Naked City? Perché, in definitiva, ci vogliamo fare del male da soli?
Si potrebbe tranquillamente concludere che nella natura umana sia da sempre insita una qualche tendenza masochistica che porta ad inseguire e vivere esperienze traumatiche e fastidiose e che, in qualche modo poco chiaro, l’uomo non pare possa fare a meno di subire il fascino dell’estremo, che spesso coincide, o vuole coincidere, con l’esteticamente brutto. Sì, forse l’espressione è quella più appropriata: questo disco dei Blood Axis è esteticamente brutto e, al di là di ogni giudizio personale su cosa sia bello e brutto, è estremo, terribilmente estremo, nella forma e nella sostanza, nella musica come nel concetto.
Dal punto di vista strettamente musicale ci troviamo di fronte ad una musica che definire industriale è un’offesa al genere stesso, poiché qui non si fa altro che ammassare materiale di ogni tipo, spesso proveniente da lidi molto distanti: aperture sinfoniche, musica classica, stralci ambient, voci narranti, campionature, rumori vari, incursioni di folk apocalittico, dark e di doom metal, tutti elementi che concorrono a creare un’atmosfera cupa, funerea e nichilista.
Ma non è questo il problema, il problema è il versante concettuale, poiché per tutta la durata del platter si fa veramente troppo pressante il credo ideologico dei nostri, divenendo a tratti difficilmente sostenibile. E così, fra tappeti di sinth e drum machine programmate nemmeno troppo bene, non è infrequente scovare invettive da parte di folli arringatori, momenti di fiero bellicismo, incomprensibili discorsetti in tedesco ma dal poco dubbio contenuto, e tanta tanta tanta nostalgia. E meno male che il mio inglese non è così buono da comprendere i testi, altrimenti sì che sarebbe un macello!
Un cd che mi vergognerei di proporre agli amici, se non come oggetto di scherno, che certo non regalerei ad una ragazza per far colpo, un cd, però, che trova spazio nella solitudine di camera mia, al riparo dagli sguardi e giudizi altrui. Ma perché questo dannato dischetto finisce periodicamente nel mio lettore? Qual è il suo appeal?
Da tempo ho imparato a scindere la musica dalla politica (anche se in casi come questi l’impresa è davvero ardua), affidandomi solo alle emozioni. Del resto, vi chiedo, i CCCP non fanno grandissima musica a prescindere dal loro credo politico? Per questo la domanda che mi sono posto è stata: una persona di sinistra può o non può ascoltare la musica dei Blood Axis? E la mia risposta è stata: sì che può, allo stesso modo di come un vegetariano può mangiarsi una padellata di merda. Poiché qui non è questione di gusti, bensì di avere uno stomaco di ferro!
Si parlava di emozioni. E, volente o nolente, questo disco dà delle emozioni. E’ un dato di fatto, non lo si può negare. Questo disco porta in sé un innegabile valore, è in grado di esercitare un fascino irresistibile ed un magnetismo quasi incomprensibile. Più ne scorgo i difetti e le ingenuità, e più mi accorgo che, nel suo essere un compatto coacervo di inquietudine e suggestioni (una calcolata raccolta di atrocità, come se l’intento del gruppo fosse stato proprio quello di selezionare un accurato campionario di idee, pensieri e punti di vista “scomodi” che l’uomo si è visto costretto a bandire e ad esorcizzare dalla propria vita sociale e culturale per salvaguardare la sanità mentale), riesce a colpire dritto diritto il bersaglio. L’efficacia è forse il suo pregio principale. Il secondo è di certo il coraggio. Il terzo: il fatto che rappresenta un esemplare unico, un qualcosa che non è paragonabile a niente altro prodotto nella storia della musica (i dischi dei Der Blutharsch fanno sorridere al confronto e forse l’unica pietra di paragone, suppur movendosi su coordinate sostanzialmente diverse, è “Take Care and Control” dei Death in June, comunque uscito successivamente).
“The Gospel of Inhumanity”, uscito nel 95, costituisce l’unico studio-album ad oggi licenziato dal duo americano (a completare lo scarno catalogo vi sono una manciata di singoli ed Ep e il live “Blot: Sacrifice in Sweden” del 98). Nonostante l’inattività del gruppo e la difficile reperibilità dei suoi lavori, questa opera è riuscita nel tempo a guadagnarsi fra gli amanti del folk apocalittico lo status di album leggendario, di vero e proprio culto, soprattutto per l’atteggiamento d’intransigenza e di estrema misantropia del leader Michael Moynihan, che non a caso troviamo a fianco di Douglas P. e Boyd Rice nell’altrettanto venerato “Music, Martinis and Misanthropy”, altro tomo “for fascists only”, seppur per palati più fini.
L’album si presenta come un oscuro monolite in cui le otto tracce si fondono l’una nell’altra, intervallate da squarci di gelide sinth, rumori inquietanti, momenti di estasi belligerante, cupe preghiere e nenie esoteriche, in un claustrofobico viaggio attraverso i meandri oscuri della Natura Umana. La title track non è altro che un’intro sinfonica che vuole introdurre l’ascoltatore al mood apocalittico e pomposo dell’opera, uno strumentale un po’ plasticone che non sfigurerebbe in un disco black metal di bassa lega.
“The Voyage (Canto I)” è una sonata di Bach (arrangiata dai nostri) sulla quale è stata innestata la registrazione della voce del poeta statunitense Ezra Pound, internato in un manicomio dopo essere stato accusato di tradimento per aver aderito all’ideologia fascista (ti pareva!) al termine della seconda guerra mondiale. Cosa strana: il risultato è qualcosa di pacchiano e di bellissimo al tempo stesso. Sarà la triste melodia di Bach (il cui talento non si mette certo in dubbio), sarà l’incedere sofferente ma pure maledettamente fiero di questo vecchio sbiascicone, ma questa bizzarra commistione sortisce l’effetto di trasmettere in modo straordinario un senso profondo di estraniazione, follia e solitudine. Va bene, vi chiederete, ma i Blood Axis cosa centrano? Niente, forse solo per l’idea di aver messo le due cose insieme, fatto sta che il tutto risulta essere di estrema suggestione. Proseguiamo incuriositi.
Irrompe la chitarra acida di “Eternal Soul”, e pare di sentire i Death in June dell’84 (e scusate se è poco!): la voce cupa e monocorde di Moynihan di fatto non si discosta molto da quella di Douglas P., mentre la drum machine e gli elementari giri di chitarra elettrica riescono, seppur con estrema semplicità, ad edificare un post-punk di pregevole fattura, scotendo finalmente l’ascoltatore dal torpore imperante.
“Beetween Birds Of Prey” è una desolante ed oscura fuga ambient di 8 minuti, in cui un’orchestrazione riverberata di gusto wagneriano echeggia ossessiva in lontananza, mentre freddi tappeti di sinth e un incessante ululare di lupi fanno da sottofondo alla voce profonda di Moynihan, che recita un passo del “Così parlò Zarathustra” di Nietzsche. Altro momento di estrema suggestione.
L’organo di Bach torna a farsi sentire nella successiva “Herr, Nun Las in Frieden”, questa volta chiamato ad accompagnare un monologo di Charles Manson in persona, scomodato direttamente dal carcere e chiamato a collaborare al progetto (probabilmente gli è stato chiesto di lasciare un messaggio sulla segreteria telefonica dell’amico Moynihan, poiché la registrazione è scadente ed è possibile udire il ripetersi di un bip in sottofondo!). O io mi sono bevuto il cervello, eppure anche questa song è fottutamente intrigante: sentire la bellissima melodia di Bach, che sale in crescendo presto accompagnata da cori sacri, e l’incedere farneticante e lontano della voce dell’assassino più celebrato in america è una cosa quasi commovente. Probabilmente mi sono bevuto il cervello, ma trovo efficace questo accostamento (anche se temo che il merito vada più che altro a Bach, che è pur sempre Bach!).
E i Blood Axis? Facile la vita, direte voi, per gente che non scrive una nota o una riga e si limita a saccheggiare la musica e i testi di altri. Io provo ad azzardare una interpretazione: i Blood Axis non sono degli stupidi, il loro assemblare suoni e suggestioni, seppur discutibile negli intenti, non è fatto a caso, ma risponde ad un preciso calcolo. C’è una filosofia dietro a questo disco, tutto qui appare freddamente calcolato ed equilibrato, non mi pare di essere di fronte ad adolescenti che mirano a stupire e scioccare altri adolescenti in modo dozzinale. Per esempio, la scelta di Pound, Nietszche e Manson, seppur non originale, risponde ad un criterio ben preciso, poiché questi tre figuri, il primo nel campo dell’arte, il secondo per quanto riguarda il pensiero filosofico, il terzo in ambito religioso, incarnano quello che è il tema portante dell’opera: l’elogio alla follia, alla misantropia e all’autodeterminazione dell’individuo. Una scelta del genere esplicita la volontà del gruppo (discutibile o meno, non è questo il punto: non voglio dare giudizi di valore, ma vedere se l’artista è in grado di veicolare con efficacia il proprio talento in un adeguato mezzo espressivo e quindi coronare il proprio intento) di celebrare quelli che suonano un po’ come i luoghi comuni del complesso pensiero nietzschesiano: l’affermazione egoistica dell’individuo; il coraggio come virtù necessaria per difendere e portare avanti le proprie convinzioni, anche a costo di subire l’emarginazione e l’ostracizzazione da parte del resto della comunità; l’avversione ad ogni tipo di ipocrisia, menzogna e compromesso; la volontà di potenza, in definitiva, come unica via per raggiungere la piena realizzazione di sé; l’idea del Super-Uomo come emancipazione da ogni morale e da ogni dio (al quale fa da corollario un anticristianesimo sui generis). Peccato che tutto ciò scada spesso in un becero culto dell’eroe (Giulio Cesare ed Alessandro Magno in primis) e in una superficiale lettura machistica della Storia, fino a sfociare in inaccettabili inneggiamenti alla guerra e puerili e risibili atteggiamenti elitari.
Ma al di là di ciò, quale forza espressiva possiedono questi musicisti! Tutto il Blood Axis-pensiero trova la sua massima espressione nel vero apice emozionale del disco, la marziale e pomposa “Reign I Forever”: lo scroscio di un temporale, il sibilare del vento e un lontano sferragliare di chitarra elettrica introducono le maestose orchestrazioni del celebre tema di Prokofiev (Egoist! Egoist! Ve lo ricordate?): il vocione minaccioso di Moynihan, qui nelle vesti di Thor, dio del tuono e della guerra, scandisce, in preda ad un vero e proprio delirio di onnipotenza, le parole del poeta Henry Longfellow, sbraitando ed inveendo contro tutto e tutti. Tuoni e fulmini in sottofondo e rullo di tamburi, per un pezzo veramente emozionante, che farebbe schizzare via il braccio teso persino a Bertinotti, proprio come capitava al Dottor Stranamore nel celebre film di Kubrick. Scherzi a parte, anche qui la commistione di sacro e profano, di musica classica e contaminazione industrial è veramente riuscita.
Quasi viene il dubbio che questi Blood Axis ci sappiano davvero fare.
Il calo è fisiologico: seguono una non troppo entusiasmante ma pur sempre dignitosa “Absinthe”, song incentrata su suoni sintetici tendenti al rumorismo e dalla voce rarefatta di Moynihan, e la titanica “Storm Of Steel”, che nei suoi 10 minuti ci offre momenti di gelido ambient, tristi arpeggi di basso e partiture doom metal che si alternano a cori trionfali. Epicità al cubo!
Che dire, sebbene da qui non passi certamente la storia della musica, questo album costituisce un episodio unico nel suo genere, uno di quei pochi casi in cui davvero è difficile mantenere un atteggiamento neutro: o lo si ama o lo si odia.
Secondo me vale la pena avvicinarvisi, per l’innegabile forza espressiva. E’ inutile aggiungere che è richiesta una graaaande apertura mentale e una buona dose di voglia di farsi del male!
Ma non voglio pesi sulla coscienza: sconsigliato a tutti!
Elenco tracce testi samples e video
01 The Gospel of Inhumanity (05:47)
Album version
- Oh, God! Oh, Jesus Christ! Oh, my God! Christ! No, no, dear God! No, Christ!
- Mighty god of the Sun, bountiful goddess of our orchards, accept our sacrifice and make our blossoms fruit.
- Accept our sacrifice and make our blossoms fruit!
- Mighty god of the Sun, bountiful goddess of our orchards...
- Hear ye the words of the lord!
- ...accept our sacrifice and make our blossoms fruit.
- Awake, ye heathens, and hold! It is the Lord who hath laid waste your orchards! It is he who hath made them bare!
- Reverence the sacrifice.
- Hold, ye husbandmen, because the harvest of your field hath perished and the vine is dried up and the apple tree languisheth! Even all the trees of the field are withered because the truth is withered away from the sons of men. Desire shall fail and ye shall all die!
Samples from The Wicker Man
Live version
(...)
From a recorded speech by Benito Mussolini
03 Eternal Soul (04:04)
Beyond time and released from sin
As we prow to the slain, determination grim
As a visor who feeds the soil, and the wheel turns again
These last great men will walk, the final links in a chain
On soul is eternal
Nothing is above that soul
Spirits forged in darkness and hewn from love
Welcome the death of the lie, all hail the bleeding dove
With our heads in a deathless realm, our feat firm on the land
Heed, this nature is summoned, for the final stand
On soul is eternal
And nothing is above that soul
Ja, ich weiss, und er ist samme
Ungesettich bleich ett flamme
Müde und versettnich ist
Nicht mehr alles ist wasser
Kohl alles was ist das wasser
Flabben bin ich sicherich
Flammen bin ich sücherüch
We discovered the first one, as he too is the last
On murder sign on the homeland, trough which all must pass
Rising upper mist of fear, moving like shadows unseen
Echoing the ancient forests, clothe in black and green
On soul is eternal
And nothing is above that soul
From the smallest of creatures, up thorugh the spiraling coil
Down from the world of spirits, return back into the soil
From the falling moon, to the ascending sun
Hail eternal recurrents, now all is one
All is one
All is one
All is one
Die Wahrheit ist einz
04 Between Birds of Prey (08:16)
Who would here descend,
How soon
Is he swallowed up by the dephts!
Thou, Zarathustra,
Still lovest the abysses
Lovest them as doth the fir tree?
The fir flings it's roots, where
The rock self gazes
Shuddering at the depths
The fir pauses before the abysses,
Where all around,
Would feign descend,
Amid the impatience
Of wild rolling, leaping currents
It waits so patient, stern and silent,
Lonely
Lonely
Who would venture here
To be guest,
To be thy guest?
A bird of pray per chance,
Joyious at others misfortune,
Will cling persistent,
To the heir of his steadfast watcher,
With frenzy laughter,
A vulture's laughter
Wherefore so steadfast?
Mocks he so cruel,
He must have wings, who love the abyss,
He must not stay on the cliff,
As thou, who hangest there!
Oh Zarathustra,
Cruelest nimrod!
Of late still a hunter of God,
A spider's web to capture virtue,
An arrow of evil!
Now,
Hunted by thyself,
Thine own prey,
Caught in the grip of thy own soul
Now,
Lonely to me and thee,
To fold in thy own knowledge,
Amid a hundred mirrors,
False to thyself.
With a hundred
Memories,
Uncertain and weary in every wound,
Shimmering, at every frost,
Throttled, in thy own noose,
Self-knower!
self-hangman!
Why didst bine thyself
With the noose of thy wisdom?
Why lureth thyself,
To the old serpent's paradise?
Why stolest into thyself
Thyself?
A sick man now,
Sick of serpents poison,
A captive now,
Who has drawn the hardest lot:
In thy own shaft
Now, does thou workest,
In thine own cavern.
Digging at thyself,
Helpless quite,
Stiff,
A cold corpse
Overwhelmed with a hundred burdens,
Overburdened by thyself,
A knower,
A self-knower!
The wise Zarathustra!
Thou soughtest the heaviest burden
So foundest thou thyself,
And canst not shake thyself off
Watching,
Crouching,
One that stands upright no more!
Thy will prow deform,
Even thy grave deformed spirit!
And of late still so proud,
On all stilts of thy pride!
Of late still the godless hermit,
The hermit with one comrade - the devil,
The scarlet prince, every devilment!
Now,
between two nothings,
Huddled up,
A question mark,
A weary riddle
A riddle for vultures
They will solve thee,
They hunger already for thy solution,
They flutter already, above their riddle,
Above thee, the doomed one,
Oh Zarathustra!
Self-knower!
self-hangman!
From a poem by Friedrich Nietzsche
06 Reign I Forever (06:15)
I am the God Thor
I am the War God
Here in my Northland
My fastness and fortress
Reign I forever!
Here amid icebergs
Rule I the nations
This is my hammer!
Giants and sorcerers
Cannot withstand it!
These are the gauntlets
Wherewith I wield it
And hurl it afar off
This is my girdle
Whenever I brace it
Strength is redoubled!
The light thou beholdest
Stream through the heavens
In flashes of crimson
Is but my red beard
Blown by the night-wind
Affrighting the nations!
Jove is my brother
Mine eyes are the lightning
The wheels of my chariot
Roll in the thunder
The blows of my hammer
Ring in the earthquake!
Force rules the world still
Has ruled it, shall rule it
Meekness is weakness
And strength is triumphant
Over the whole earth
Still it is Thor's Day!
I am the God Thor
I am the War God
Here in my Northlands
My fastness and fortress
Reign I forever!
Reign I forever!
Reign I forever!
Thonor forever!
From the poem "The Challange of Thor" by Henry Wadsworth Longfellow
08 Storm of Steel (10:56)
Come now my brothers, gather around
Listen carefully for the final sound
The tawling clang, the peel of the bell
For we must live past the last deathknell
Rejoice in an eternity of endless pain
For their world of insanity left us sane
Sing! For life, in storms of steel
Strength! Through strife, in storms of steel
Sing! For life, in storms of steel
Strength! Through strife, in storms of steel
Until all is said and done
When the stream of blood has all yet run
When silent darkness covers this land
Of swallen rubble once did stand
Now forever gone to the forgotten
No epitath for all that was simply rotten
Sing! For life, in storms of steel
Strength! Through strife, in storms of steel
Sing! For life, in storms of steel
Strength! Through strife, in storms of steel
It belongs to us tomorrows born
But for tonight we must still rally this storm
And sing! For life, in storms of steel
Strength! Through strife, in storms of steel
Sing! For life, in storms of steel
Strength! Through strife, in storms of steel
Now sing! For life, in storms of steel
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