Per la gloriosa etichetta Iridescence Records nell' Anno Domini 1985 quattro scappati di casa che rispondono al nome di "margherite blu", affiancati da altri loschi individui già schedati per efferatezze sonore, fanno uscire un disco "appassito" dove l' afflosciamento dei fiorellini dimostra un' indolenza impaziente: ed ecco lì un combo di teste di cazzo, di pezzi di merda, degli stronzi tout court che ammortizzano gli epiteti rivoltigli con un sorrisetto ebete e una sonagliata (s)crotale fomentando ulteriore agitazione pre-avvelenamento.

Sublimi fancazzisti, alla stregua di una filosofia "cinica", Diogene permettendo,vagabondano in un fannullonismo noise. Il random rumoroso è spudorato ma coerente, nonostante la "motherfuckingità" ci stanno simpatici. Imberbi ma già maturi per rompere i coglioni in maniera raffinata e irritante si fanno sempre perdonare cólla loro personale tirata di petali: "m' ama, non m' ama...", "me la dà, non me la dà..." Pericoloso invito ad una degenerazione onanistica per perdersi in astigmatiche "fuoriuscite" disequilibranti con l' effetto collaterale che questa "intimità" ci potrebbe realmente piacere. Ma si, innalziamo le nostre miserie riconoscendole in questo pentolone che cucina un assurdo indispensabile per prenderci per il culo.

Guai a considerarlo un rodaggio al disco dei Blissed Out Fatalists (da me medesimo già recensito) di due anni dopo, anche se Jeffrey Poe e Nick Greene contribuiscono sempre ad imbastire una superba "caciara": il lavoro è un' entità che galleggia nel vuoto con quel cantato-sguaiato che racchiude infinitesime schegge di roboante Genesi, con quelle chitarre che rimbalzano gaglioffamente alla cazzo di cane, con quella batteria epidermicamente fastidiosa ma magnificamente immessa nella cloaca rumoristica definitiva. Il mal di pancia che la mancanza di una qualsiasi melodia provoca è una manna dal cielo che questi debosciati elargiscono santificando ulteriormente il post punk californiano e silurandoci cacofonicamente. Non possiam altro che porgere l' altra guancia con un ghigno sorpreso e soddisfatto a questo manicomio di sferzate blu cobalto. Rinfrancante è constatare che non esistono solo i Flipper e i Butthole Surfers: "California über Alles!"

La copertina rivela sotto le spoglie straccionesche un divertimento colto e pericoloso, i ragazzi sono intelligenti e per rinfrescare l' acume sono sempre pronti a regredire imbastendo lì per lì scherzi da prete. Mattacchioni del nonsense percepiscono il fun come una distorsione "cacacazzi" che implode i timpani del piacere astratto: se la cantano e se la suonano strafottendosene di tutto, in perenne ricerca del disadattamento come antidoto alla noia e all' uniformità.

La scaletta dei brani suggerisce un velato concept: alti ideali (Anthem/Pillars) subito ridimensionati da fantasie riproduttive (Slot) e da richieste primitive (Suck Me), andati in "bianco" si va avanti (To Be, Continued) soffrendo un po' (100 Tears) ma trovando svago in un altro tipo di movimento (Dance Dance Dance) che scatena alte considerazioni (Everything and Nothing at All) che nascondono un desiderio concreto (Es Amor, Hand Job) che sancisce il "noi (non) siamo" (Beautiful Kid). Animali da live concert lecca microfoni... and "Suck Me!"

Onde (tavola compresa) indipendenti che sfanculano l' ipocrisia del fair-play scivolando via dall' incubo piatto del "correct" globalista. Il coinvolgimento è impersonale e senza sfida, chi c'è c'è e via nell' Iperspazio taroccato. Test attitudinale per determinare il grado di sopportazione nervosa di presunti caratteri sobri e smascherare finte pose alternative.

Un gioiellino aspro che consiglio vivamente per accelerare il divorzio che è in voi.

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