Si può parlare di uno dei migliori dischi italiani usciti nel 2019, pur senza le big views e i big likes?

Ma assolutamente si, perlomeno per quanto mi riguarda e relativamente ai miei ascolti.

Innanzitutto qui, già parlare di musica italiana è riduttivo, questo Wanderlust (Libellula Music, 2019) infatti di nostrano ha veramente ben poco, essendo un concentrato di internazionalità, varietà stilistica e modernità che semplicemente nel Belpaese non esiste.

Giusto per inquadrarlo, qui ci trovate quel britpop primordiale di frangia Stone Roses con della psichedelia sintetica (Tame Impala?) ma con chiare radici beatlesiane; anche se il primo accostamento che mi balza all’orecchio sono i Grizzly Bear, ascoltare la travolgente “Instant Lover” per capire.

Quattro ragazzi di Trento, al secondo capitolo della loro discografia, dopo il primo full-length “Rouge Squadron” (autoproduzione, 2012) pubblicano questo lavoro, somma di due Ep separati ma interconnessi. Un quinto elemento nell’ombra, ma non meno importante, il produttore Riccardo Damian, fa da collante per arrivare a definire un suono compatto e dare risalto ai preziosi arrangiamenti.

È un viaggio per l’Europa quello dei quattro trentini, che vivono sparsi tra Parigi, Berlino e Londra (agli Abbey Road Studios è stato registrato il brano “Feeling”)

E proprio il tema del viaggio, collega le canzoni una ad una. Quello reale, per ricongiungersi fisicamente e quello metaforico, che mette in connessione le varie anime della band. Analizzando profondamente la condizione del trovarsi distanti ma fortemente uniti da qualcosa di più alto, come la musica.

È l’esplorazione di una gioventù sonica che guarda al futuro con speranza, determinazione e tanto talento.

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