Le cronache di Robert Allen Zimmerman in arte Bob Dylan, iniziano col narrarci le sue prime apparizioni sulla scena folk del greenwich village di New York, l’importante incontro con Dave Van Ronk (personaggio di spicco nell’ambiente), e soprattutto l’ammirazione che Bob nutriva e nutre per il maestro Woodie Guthrie, anche se in realtà più che un’ammirazione è un ossessione.

La cura con cui racconta gli aneddoti della sua vita e la sua carriera è maniacale al punto tale da diventare quasi noioso talvolta, usando linguaggi tecnici e menzionando molti nomi della quale dopo poche pagine ci saremo già dimenticati. Lo scopo del libro però, non è ovviamente farci imparare tutti i nomi dei musicisti folk da lui incontrati ma rivelare un’altro lato di Bob che pochi conoscono. Molto bello è per esempio, il racconto di come agli esordi nei locali, per guadagnare qualche soldo in più, doveva non solo essere bravo ad esibirsi ma anche portare con sé una bella fanciulla che, facendo girare un cestino tra gli spettatori, gli era d’aiuto a racimolare qualche dollaro in più rispetto ai concorrenti. Capita spesso che racconti le volte in cui andava a casa di amici esclusivamente per ascoltare dischi di altri musicisti folk e trarne ispirazione ed insegnamento, finendo poi, la maggior parte delle volte ad ascoltare vecchi dischi di Guthrie la quale, per Dylan rappresenta il “tutto” in questione di musica, a tal punto da considerarsi l’erede di quest’ultimo, come dimostrato dalle sue stesse parole: “Una cosa era certa, Woodie Guthrie non mi aveva mai visto nè aveva sentito mai parlare di me, ma era come se stesse dicendo – Io me ne vado, ma lascio questo lavoro nelle tue mani. So di poter contare su di te”.

Ovviamente ci parla anche del suo rapporto con i fan che, ai tempi in cui viveva a Woodstock, lo credevano più un profeta che un musicista e di conseguenza assediavano la sua abitazione per convincerlo ad uscire e guidarli non si sa dove. Così fece anche la stampa e infatti, sappiamo benissimo che il diretto interessato ha sempre avuto un rapporto tumultuoso con quella parte del suo mondo, talmente tumultuoso da costringerlo a incidere un nuovo disco totalmente diverso dai precedenti. Registrò così "Nashville Skyline" che si differenziava dai precedenti per le sonorità (orientate più verso il country soft), la voce di Bob e dai testi meno impegnati, ma nonostante questo non riuscì comunque a prendere le distanze dall’etichetta che ormai tutti gli avevano “appiccicato” contro la sua volontà, quella di portavoce della sua generazione.

Il libro racconta molto altro ancora, dalle sessioni di incisione alle fughe in moto, dalla difficoltà di scrivere testi alla sua vita familiare, dalla passione per tutto ciò che riguarda la musica al particolare episodio del suo yacht, spaziando così tra le tante sfaccettature di Bob che forse non tutti ancora conoscevano.

Il bello di questa autobiografia è che ci dipinge il leggendario Bob Dylan come un uomo “normale” al contrario di come si potrebbe immaginare e la lettura è decisamente consigliata, tenendo presente che non mancano anche pagine noiose e difficili da digerire, ma nel complesso direi un buon lavoro.

p.s. Fantastiche le ultime pagine in cui ci parla di Robert Johnson.

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