E’ un Bob Dylan in forte crisi personale quello che nel 1975 e nel 1976 vaga da una città all’altra dell'America con il suo carrozzone itinerante, anticipando in parte quello che sarebbe diventato, di lì ad alcuni anni, il “Neverending Tour”, che dura tuttora.
Stava uscendo a pezzi da un matrimonio, quello con Sara Lowndes, la “Sad eyed Lady of the Lowlands” così mirabilmente descritta in una epica canzone del 1966, apparsa su “Blonde on blonde”.

Artisticamente però il musicista è in uno dei suoi momenti più ispirati, era in mezzo a “Blood on the tracks” e “Desire”, i suoi due massimi capolavori dei ’70.
In questo supergruppo, oltre naturalmente a Bob, sono presenti Bobby Neuwirth, T-Bone Burnett, Steven Soles e Mick Ronson alle chitarre, Scarlet Rivera al violino, David Mansfield alla steel guitar, al mandolino, al dobro e al violino, Rob Stoner al basso, Howie Wyeth al piano e alla batteria, Luther Rix alla batteria, percussioni e congas, e Ronee Blakely ai cori. Inoltre c’è la straordinaria partecipazione in quattro pezzi di Joan Baez e in uno di Roger McGuinn.

La cosa che si nota subito è il grande livello della registrazione e del suono. Si parte con un pezzo che era, in origine, sull’album country “Nashville skyline”, e che qui è rivista in una potente versione rock con le chitarre in bella evidenza. “It ain’t me babe”, una canzone che sui suoi live è quasi sempre presente, qui è in una curiosa versione che somiglia un po’ a “Memphis blues again”. Grande la versione di “A hard rain’s a-gonna fall”, anche se chi è abituato alla solita versione acustica e dolce, rimarrà un po’ perplesso. Qui è rock-blues a tutta birra. “The lonesome death of Hattie Carroll” è una ballata presa dal suo terzo disco, “The times they are a-changin’”. Poi una canzone che all’epoca del Rolling Thunder Revue non era ancora uscita, e che quindi era sconosciuta ai più: “Romance in Durango”, inutile aggiungere altre parole. Altro brano proveniente dal non ancora pubblicato “Desire”, è “Isis”, cantato con una partecipazione e una intensità a dir poco sbalorditive. “Mr. Tambourine Man” dà inizio ad un fantastico momento acustico che comprende anche “Simple twist of fate”, e poi l’entrata in scena della Signora Joan Baez che esegue in duetto con Bob tre pezzi d’oro del repertorio dylaniano, “Blowin’ in the wind”, assolutamente da non perdere con Bob che canta e Joan a fargli il controcanto, “Mama, you been on my mind”, dedicata alla madre della Baez, e poi il pezzo forse più bello dell’intero doppio live, “I shall be released”, incantevole.
Il secondo CD (già, perché è un doppio con un cofanetto contenente anche un libretto di 56 pagine contenenti numerose informazioni sul tour, ricco anche dal punto di vista iconografico) parte con un altro pezzo acustico, “It’s all over now, baby blue”. “Love minus zero/No limit” in questo caso fa capire perché è una delle sue canzoni più “coverizzate”, altra grande versione acustica. Il momento acustico prosegue poi con “Tangled up in blue”, una canzone che deve essere stata parecchio sofferta, visto che nel corso degli anni ha subito parecchi mutamenti nel testo (nel suo periodo cristiano il poeta italiano del ‘300 era diventato un passo della Genesi). E’ poi il turno di un traditional, “The water is wide”, per il quale ritorna sul palco la Baez. Finito il momento acustico, si rimbracciano le chitarre elettriche ed è subito una cavalcata rock-blues, “It takes a lot to laugh, it takes a train to cry”, uno dei pezzi dello storico “Highway 61 Revisited”. Si torna poi alle ballate con “Oh, sister”. Poi è il momento di uno dei brani dylaniani più rappresentativi del periodo, quella “Hurricane” che fu dedicata al pugile nero Rubin Carter, ingiustamente incarcerato e accusato di omicidio. Si passa ad un’altra ballata presente su “Desire”, quella “One more cup of coffee” che è apparsa anche recentemente sul nuovo album di Robert Plant “Dreamland”. Uno dei momenti più toccanti del concerto è quando Bob intona un pezzo di una tristezza infinita. Quel pezzo è dedicato accoratamente alla moglie Sara che lo sta lasciando. Quel pezzo è intitolato semplicemente “Sara”. Non poteva certo mancare “Just like a woman”, poi si chiude con Roger McGuinn che aiuta Bib nella conclusiva “Knockin’ on Heaven’s door”, messa in salvo da Bob nella sua versione definitiva prima che arrivassero dei Guns’n’Roses qualsiasi a deturparla.

Che altro aggiungere? Che questo disco potrebbe anche far ricredere quelli che considerano Bob Dylan un juke-box da concerto, un uomo poco espressivo e pieno di sé. Questo disco è sicuramente uno dei migliori live della storia ed è una grandissima cosa che la Columbia abbia deciso di renderlo pubblico, per di più in una confezione lussuosa, dopo anni di “pirataggine”.

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