Justin Vernon, mente creativa dei Bon Iver, è un artista che non ama dispensare certezze ai suoi ascoltatori. Pertanto per un recensore estemporaneo come me fornire di questo disco un'interpretazione sensata è stato più un esercizio personale, che una reale volontà di renderlo fruibile a chi eventualmente avrebbe letto queste poche righe. In una certa fase iniziale avevo realizzato che avrei potuto scriverne d'impulso, senza ripensamenti, un po’ come sembra, ma solo apparentemente, essere stato concepito e prodotto il lavoro. Invece sono stato costretto a riprendere la scrittura più di una volta per cercare di far quadrare una geometria senza misure e con pochi riferimenti.

La mia tesi è che anche Justin Vernon abbia faticato parecchio nel decidere la forma finale della sua opera e che probabilmente abbia cambiato più volte canone; non mi meraviglierei se in futuro di queste composizioni ne potessero uscire versioni alternative, magari più accessibili agli ascoltatori meno pazienti. Il musicista scopre subito le sue carte, che nel caso specifico sarebbe meglio chiamare tarocchi; di fatti le prime tracce stimolano già tutte le sensazioni che l'intero album è capace di dare. Dalle confortanti atmosfere bucoliche e la chitarra acustica di 22(OVER S∞∞N) a quelle più disorientanti: 10 d E A T h b R E a s T ⚄ ⚄ ha un cantato interamente distorto da un dispositivo creato ad hoc dal suo ingegnere del suono ma adagiato su una melodia che, a lungo andare, finisce per insinuarsi nella mente. E' interessante notare che, per quanto eccentriche, di queste canzoni ritroviamo in rete svariate cover, fra cui una formidabile di 715 - CRΣΣKS eseguita da un coro esclusivamente maschile che ricorda un canto gregoriano.

La quarta traccia 33 “GOD” è la prima ancora di salvezza che ci viene lanciata dall'artista e io consiglio, almeno le prime volte, di farci affidamento e attenderla pazientemente, onde evitare un possibile abbandono dell'ascolto; il fraseggio pianistico, seppur sempre in sottofondo, è fra i più belli che Vernon abbia composto finora. E' fuori discussione quindi che il suo valore come compositore non sia in alcun modo venuto meno, tuttavia è lecito domandarsi se l'abito che ha scelto per le sue composizioni sia quello che maggiormente le valorizza. D'istinto direi che solo alcuni brani hanno una forma su cui è difficile avanzare contestazioni. Mi riferisco per esempio alle bellissime 29 #Strafford APTS e 8 (circle) che non a caso sono i pezzi con un taglio più tradizionale. Altre invece sembrano dei brani incompiuti, paragonabili ai prigioni di Michelangelo, attraverso i quali si percepisce la levatura dell'opera, in questo caso la melodia, senza però che questa si esprimi mai del tutto.

Non è tuttavia il caso di tirare conclusioni affrettate. Indossate un paio di buone cuffie, chiudete gli occhi è avviate 8 (circle). La bellezza di questo brano vale l'acquisto del disco e pure il tempo perso per capirlo. Anche quando questa traccia, morbida e circolare, si interromperà per dare spazio alla spiazzante ____45_____ non demordete, passeranno mesi prima di capire perché e lì a fare da cesura con l'ultimo capolavoro: 00000 Million, per il quale ancora una volta vale la pena ascoltare la splendida interpretazione che ne da una certa Ella Vos, cercatela su youtube.

22, A Million è un album catartico perché chiarisce i suoi contenuti musicali in relazione alla predisposizione di chi ascolta. E finanche un lavoro mistico, per l’uso misterioso della numerologia nei titoli dei brani e per i testi, coerentemente tesi ad un’interpretazione trascendente del reale. Mettete temporaneamente da parte i Bon Iver cantori dei luoghi fisici degli stati del Nord America, armatevi delle migliori intenzioni e godetevi questo viaggio immaginifico fra numeri, suoni e luoghi della mente.

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