L'infanzia di un capo di Brady Corbet, molto liberamente ispirato a un racconto di Sartre e a un romanzo di John Fowles.

Ma, a parte queste due fonti dichiarate, è con i due celebri ed importanti titoli di Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo e La banalità del male, che si può introdurre la visione di questo notevole film con cui l'allora appena ventisettenne Corbet (classe '88) esordisce alla regia.

Si tratta di un film di una ricercatezza stilistica ed autoriale impressionante per un esordiente.

Corbet cita fonti di ispirazione del calibro di Kubrick, Dreyer, Bresson, Olmi. Tutte abbastanza evidenti guardando il film.

Ma a venire in mente è anche, e anzi soprattutto, l'Haneke de Il nastro bianco, non a caso ambientato durante lo stesso decennio (anni '10 del Novecento), ma L'infanzia di un capo è svolto a guerra finita, prima della firma sul Trattato di Versailles, che di fatto pose le basi affinché nella Germania sconfitta e mortificata si potessero formare movimenti di rivolta a seguito di una grande crisi sociale ed economica, che sfociò infine nella nascita e nell'ascesa del nazismo. Le conseguenze sociali di Versailles (trattato che era fortemente inviso anche ai grandi della Konservative Revolution, molti del quali in seguito marcatamente anti hitleriani) portarono a creare i presupposti di odio e rivalsa che permisero ad un popolo intero (il più colto d'Europa, come sappiamo) di seguire un'ideologia di quel tipo. Le condizioni estreme in cui versava la Germania del dopo Versailles sono esposte in un grande film di Bergman, L'uovo del serpente, opera estrema e sottovalutata (ingiustamente considerata minore) del grande maestro svedese.

Il film di Corbet però non parla della Germania, bensì della nascita di un ego, attraverso la mancanza di affetto, stabilità e attraverso l'ira. Dies Irae, appunto per citare il capolavoro di Dreyer. L'ira è di fatto la protagonista di questo film. Un romanzo di formazione in quattro atti, germoglio, crescita, infine ascesa di una personalità forte e negativa attraverso vari episodi di ira e violenza.

In questo film sono evocati i mali oscuri ed eterni dell'Europa (nelle sue radici rurali, spesso dimenticate o rinnegate dalla modernità) e dell'uomo in generale ("non è la capacità di un singolo uomo di essere cattivi, ma la mancanza di coraggio di tanti uomini di essere buoni", dice Pattinson), nella coazione a ripetere, nella ciclicità. Le radici di un Male, lo sguardo sulla Storia e su un passato che è origine. In questo senso, appare azzeccato riferimento di Corbet a L'albero degli zoccoli.

Come eravamo, come siamo, di chi siamo figli e nipoti.

Forse non è piena la risolutezza finale, ma si tratta di un'opera straordinariamente ambiziosa ed affascinante. Si segnala anche la strepitosa OST di Scott Walker, quanto mai azzeccata e componente importante del lavoro. Penultima realizzazione in assoluto del grandissimo artista americano, prima della sua scomparsa.

Io vi dico di vederla.

Carico i commenti... con calma