Formatisi nel 2000 e provenienti dal Long Island, New York, i Brand New sono un quartetto al loro terzo album, ”The Devil And God Are Raging Inside Me”, lavoro in cui la matrice emo degli esordi si è evoluta in un indie rock intrigante e sofferto che per molti versi ci ricorda l’epopea grunge sviluppatasi ormai più di venti anni or sono.

Il combo è formato dal batterista Brian Lane, Garrett Tierney al basso, Vin Accardi alla sei corde e Jesse Lacey alla voce, seconda chitarra e testi.

Il punto forte del gruppo è proprio il cantante, in possesso di una voce che ricorda Morrisey quando si mantiene su registri bassi, e molto simile invece a quella di Omar Rodriguez dei Mars Volta quando deve urlare secondo gli stilemi dell’emo.

Il disco parte subito forte con “Sowing Season (Yeah)” dotata di un ritornello di scuola Nirvana attorno al quale si aggirano riff di chitarra malinconici e al contempo taglienti che conducono le danze ora attraverso momenti più meditativi, ora tumultuosi. Anche i versi denotano un chiaro disagio interiore”...non sono tuo amico...non sono il tuo amante...non sono la tua famiglia...”.

“Millstone” rallenta i ritmi e si fregia di un ritornello accattivante e “cantilenoso”; sugli stessi toni si mantiene la ballata “Jesus Christ”, dal cantato suadente, dove il singer si interroga su fede ed esistenza con ironia più che con devozione (“...Gesù Cristo, sono di nuovo solo...Allora cosa hai fatto in quei tre giorni in cui eri morto?...perchè questo problema durerà più che per un fine settimana...”).

Arriviamo poi a uno degli apici dell’album: “Degausser”, che molto deve della sua bellezza alla lezione impartita (e qui ben assimilata) dagli At The Drive In di “Relationship Of Command”.

Altro vertice è poi, a mio avviso, “Not The Sun” che ricorda marcatamente i Bush migliori dell’album d’esordio (recuperate “Sixteen Stone” uno dei pochi dischi di post-grunge necessari).

Prima di essa avevamo avuto ad impreziosire ulteriormente l’album l’agghiacciante simil strumentale “Welcome To Bangkok” ricca di innesti elettronici che lasciano poi spazio a lancinanti urla in crescendo, ideale colonna sonora per un ipotetico horror moderno.

La conclusione del disco è affidata a quattro brani leggermente inferiori ai primi otto, ma sempre sopra la media.

La lenta e psichedelica “Luca”, che viene però valorizzata nel finale con una esplosione di suoni, e la quasi-strumentale “Untitled”, breve e d’atmosfera, per finire con la allegra cavalcata emo-pop “The Archer’s Bows Are Broken”(viene in mente la parola “Blink 182”) e la conclusiva “Handcuffs” dal piccolo arpeggio acustico nello stile degli Eels.

In conclusione ogni ascolto di questo lavoro lascia la sensazione sempre maggiore di aver scoperto un piccolo gioiello di rock moderno, cosa che mi consente di post-datare ancora di qualche anno la morte di un genere musicale che in tanti vorrebbero purtroppo dare per spacciato ma che così non è se sarete sempre pronti a prestare orecchio...a “qualcosa di nuovo” (“Brand New” per l’appunto).

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