Custodite un segreto: viaggiare sull'Oblivion Express è come concedersi un interrail aereo attorno al globo. Sposti la puntina, fai un passo nel tuo vagone e stacchi il corpo da terra. Dallo spazio, senza sussulti, tutto assume le giuste proporzioni allo sguardo, ritrovi la tua quadratura, il tuo posto perfetto tra le cose del mondo.

Brian Auger è il Domenico Scarlatti del rock; un anticipatore, un revisore del concetto stesso di "forma", genio assoluto e supremo quanto misconosciuto ai più. Il folletto schizzato dell'hammond ne ha combinate di tutti i colori in passato: pianista jazz, bandleader, session man con Rod Stewart, Tony Williams, Jimi Hendrix, Eric Burdon, Led Zeppelin e Sonny Boy Williamson. Un variopinto frullato di jazz e pop, l'R&B col rock, il soul con il funk, ma soprattutto le mani, la testa e la classe di un depositario dello Stile. Insieme a Julie Driscoll mette in piedi i Trinity e nel 1968 sfonda a Top of the Pops con "This Wheel's on Fire". Non sazio, nel 1970 chiama a raccolta Robbie Macintosh, Barry Dean e Jim Mullen per decollare con la Brian Auger's Oblivion Express.

Se il primo disco omonimo è un assoluto capolavoro di perfezione, questo "Second Wind" si iscrive nell'iperuranio della musica. Una sezione ritmica inarrestabile, un dispenser continuo di bum-cha-bum ed hammond B3 che colano ovunque. Bilanci perfetti tra gli inserimenti delle parti vocali e lo strabordìo psichedelico del groove, in una girandola scintillante di suoni che passano per il Miles Davis di "Live/Evil", i primi Chicago, la Mahavishnu Orchestra, gli Emerson Lake & Palmer, i cacciatori di taglie di Herbie Hancock e su fino a Jimmy Smith e Booker T & the Mgs.

La buona vibra, occhi chiusi e cuore aperto ad assorbire il suono. Perché lo sconfinato entusiasmo che dovreste nutrire nei confronti di queste 6 tracce è proporzionale solo alla qualità delle vostre cuffie.

Benvenuti a bordo dell'Oblivion.

Ci si vede nel vagone ristorante.

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