Nel freddo Avvento 2013 del pop si è insinuata anche Britney Spears, poco felice di osservare, accucciata nel suo fido divanetto di Starbucks, l'agguerrita competizione delle varie Lady Gaga, Katy Perry nonché di tutti gli altri esponenti teenie e meno teenie delle classifiche. Della signora Spears ci hanno già pensato i vari emuli della corazzata gossippara di Murdoch a gettare nel tritacarne scandalistico i residui di una chiacchieratissima biografia. Trascorsi i primissimi anni a vestire i panni della fidanzatina d'America, la finta verginella ancora immersa nei libri (Baby One More Time), i succinti bikini con tanto di pitone vivo d'accompagnamento (I'm a Slave 4 U) e a tentare di ereditare "legalmente" il trono di Madonna (Me Against The Music, subito dopo il bacio lesbo ai Video Music Awards '03), Britney si sposa con un rapper fallito, tale Kevin Federline, sforna due belle creaturine, presenta l'immancabile bolla di divorzio e crolla in un grave stadio depressivo-confusionale, incoraggiato peraltro da due celebri esempi di pura sobrietà, Paris Hilton e Linsday Lohan. La principessa del pop smarrisce le staffe, si rapa a zero, aggredisce i paparazzi affamati con ombrelli e altri oggetti contundenti e propone agli Awards del 2007 una pietosa esibizione da bella statuina di Gimme More, show prontamente parodiato e dissacrato dalla gang di South Park in una memorabile puntata. L'album di come back, Blackout, da molti considerato l'antesignano dell'esplosione elettropop globale, registra numeri confortanti e anticipa di quasi un anno Circus e Womanizer. Pur perdendo la custodia dei figli e la propria libertà di agire (il padre è nominato tutore legale), Britney non demorde e presenta The Circus Starring: Britney Spears, tour controverso e seriamente criticato per l'utilizzo smodato del playback (si narrò allora che in Australia molti fan avessero abbandonato l'arena ben prima della conclusione del concerto). L'equilibrio apparentemente conquistato forgia infine il cacofonico chiassoso e discotecaro Femme Fatale del 2011, perfettamente in linea con i vari Born This Way, We Found Love e Party Rock Anthem dell'annata glitterata e immersa nei lustrini brillantinati.

Britney Spears rappresenta tuttora un interessante punto interrogativo: sa cantare oppure no? Canta veramente oppure lascia ai suoi fidi producer i vari lavori di manipolazione (e magari creazione ad hoc) vocale? E' una popstar o un mero surrogato in via di decomposizione? L'ex collega di Timberlake e Aguilera, "madre" delle nuove Cyrus, Gomez e Lovato (l'ultimo battaglione Disney) sembra non riuscire più a trovare la grinta di un tempo, l'energia dei primi Duemila, la voglia di sconquassare le acque che bagnano il selvaggio territorio mainstream. La maitresse junior di Toxic ha lasciato spazio (tralasciando volutamente le infelici primavere 2005-2008) a una celebrità affaticata e annoiata, poco interessata a sfidare la concorrenza delle nuove leve, feroci e "cattive", probabilmente stremata dalla Guerra Mondiale contro la stampa scandalistica e decisa a fare la dolce mamma a tempo pieno. La bilancia viene paradossalmente equilibrata da produzioni musicali abbastanza ricche e corpose, pur sedendosi comodamente nel pop più pop: il difficile Blackout è un bijou argenteo incompreso (Break The Ice, Heaven on Earth, Piece of Me), il meno coraggioso Circus non è male mentre Femme Fatale spicca nell'ambito danzereccio. Tutt'altra cosa rispetto alla gommapiuma teenie bubblegum, melensa e appiccicosa, dei primi tre lavori in studio.

Britney Jean, ottava creatura, segna una nuova stagione. Crisi, rehab e disastri mediatici sono alle spalle e ora c'è una bella residency biennale al Planet Hollywood di Las Vegas da curare: l'ambiente e l'occasione perfetti per risorgere a mo' di Araba Fenice dalle ceneri delle disgrazie. Presentato al mondo come l'album più personale e intimo in quindici anni di carriera, una sorta di narrazione del Calvario di una starlette sull'orlo del baratro, Jean - piccolo e discreto - non si discosta troppo dalle sonorità di Femme Fatale e, più in generale, dal trend danzereccio-discotecaro post Blackout: corpose infarinate elettronico-house si amalgamano alla modesta dolcezza delle ballate, a un pizzico di pop tradizionale e a un sottile velo R&B tanto promesso e poco mantenuto. Niente innovazione, rivoluzione discografica o digressione alternative-indie-hip hop: Britney rimane nella sicura carreggiata dei suoi più cari aficionados e sforna un simpatico lavoretto da classifica, assimilabile senza neanche un "ammazzacaffè" utile a digerire eventuali cambi di rotta.

Jean si apre con Alien, gustoso brano soft-elettronico recante la firma di William Orbit che prelude al delirio EDM di Work Bitch, primo estratto, mini decalogo per le signorine che vogliono affermarsi ("You Wanna a Bugatti? You Wanna a Maserati? You Wanna a Lamborghini? You Gotta Work Bitch!"). L'elemento discotecaro introdotto da will.i.am (Black Eyed Peas) definisce anche It Should Be Easy, Body Ache e Til It's Gone (imprescindibile il richiamo al tormentone Scream & Shout), ma si spegne con la candida Don't Cry, gli zuccherini troppo mielosi di Perfume, il pop puro e vagamente rock di Passenger, l'ingenuità di Chillin' With You (in coppia con la sorella Jamie Lynn) e, infine, il vago synth-hip hop di Tik Tik Boom.

Niente novità, niente innovazione, ma un dischetto pop per nulla malvagio e ridondante con molteplici spunti per un nuovo Avvento alla Spears pre-breakdown mentale: ecco il bagaglio a mano di una star né vecchia né giovane che si appresta a calcare, come Celine Dion e Cher, il palco stellato di Las Vegas. Che Britney Spears aiuti e sorregga Britney Spears.

Britney Spears, Britney Jean

Alien

Work Bitch

Perfume

It Should Be Easy

Tik Tik Boom

Body Ache

Til It's Gone 

Passenger

Chillin' With You

Don't Cry

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