La notte cala e le nubi s'addensano all'orizzonte. Tuoni minacciosi si estendono in un cielo imperversato da fulmini e saette. Il buio sopra ogni cosa. Spuntano tre cavalieri del Metal: i "Difensori della Corona" viaggiano tra le tenebre a suon di chitarra, basso e batteria. Dai ritmi epici e furiosi stanno per scombinare lo scenario della musica.
I tre cavalieri sono i Brocas Helm: Bobbie Wright (cantante e chitarrista), il baffuto James Schumacher al basso e la possenza di Jack Hays alla batteria.
Tre cavalieri che s’incontrano all'inizio degli anni '80 e decidono di cavalcare il filone dell'Heavy Metal epico, unendo in un binomio inscindibile la potenza e la furia del Thrash con le sonorità e le ambientazioni sognanti e suggestive di un mondo fantastico, fatto di tenebre e guerrieri e personaggi misteriosi.
Nel 2004 l'Elmo di Brocas autoproduce e pubblica il suo terzo album: "Defender Of The Crown". Vi chiederete come mai un gruppo d'esperienza ventennale abbia pubblicato soltanto tre album (peraltro tutti ottimi). Il motivo principale è che i Brocas Helm non hanno mai potuto contare su uno stabile rapporto con una casa discografica (personalmente mi sembra incredibile che una band del genere non trovi un produttore) e, dunque, tra varie difficoltà hanno dovuto autoprodursi tutti i loro dischi.
Non per questo si sono demoralizzati, anzi hanno continuato ad andare avanti imperterriti e dopo il live "Black Death in Athens" (sempre del 2004), finalmente esce il terzo album in studio, appunto "Defender Of The Crown".
Un disco solido, possente e omogeneo. Tutte le tracce si legano l'una con l'altra in un unico filo conduttore stilistico, caratterizzato dalla velocità d'esecuzione, intro di basso, riff di chitarra e accordi che richiamano altri mondi e altre epoche.
La voce di Bobbie Wright è evocativa e grintosa, a tratti demoniaca, il che rende il tutto ancor più evocativo. L'inizio dell'album è adrenalinico, headbanging puro. Schumacher ci introduce il singolo estratto dall'album: "Cry Of Banshee", una cavalcata irresistible ben sostenuta in fase ritmica quanto in quella creativa di Wright. Le prime canzoni procedono tutte velocemente, tanto da far scaldare l'ascoltatore: è così che scorrono via "Defender of the Crown", "Skullfucker", "Drink and Drive", "Blood Machine". Brani brevi ed immediati, tanto che dopo l'ascolto di queste non penserete più di essere nella vostra stanza, ma di esser stati catapultati in un'altra dimensione. Il brevissimo "Preludious" di fisarmonica ci porta nella seconda parte del disco, quella più lenta e pachidermica, che travolge ogni cosa con la sua forza massiccia. In questo contesto si collocano sia "Ghost Story", dove Wright alterna il tono della voce, quasi a creare un botta e risposta tra un umano e un demonio, sia "Helm's Deep".
La canzone che però mi ha impressionato è "Time Of The Dark": aperta da una progressione impressionante tra basso e batteria, prima del riff mitico di chitarra che da il la a questo tornado di note e l'oscurità che prende il sopravvento.
"Never Kissed Goodbye" e "War Toons" sono due brani che non lasciano un segno indelebile, ma sempre godibili. Si passa all'ennesima speed-track, la strumentale "Persian Gulf", eppoi arriva il gran finale: "Children Of The Nova Dawn", i bambini della nuova alba in uno scenario post-apocalittico e, infine, l'altro gioiello dell'album, ossia "Drink The Blood Priest".
Si apre con il suono funereo di un organo da chiesa, un preludio che lascia spazio ad una marcia infernale, con ambientazioni dark da brividi. L'ascoltatore si trova circondato da cimiteri, spiriti e invocazioni solenni, tanto che quando termina il disco, finalmente ritorna la luce e si è fuori da quel mondo. Ci si sente salvi e sollevati, ma perché non ritornarci, allora?
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