Chi non conosce Bruce Dickinson, il carismatico cantante della heavy-metal band più conosciuta e, nel bene o nel male, più chiacchierata: gli Iron Maiden? Bene, dopo 10 anni abbondanti di onorata militanza nelle fila della Vergine di Ferro, il buon Bruce decide che è giunta l'ora di cambiare aria e provare cose nuove; vuoi forse per il deteriorarsi del rapporto con lo storico leader Steve Harris, vuoi forse per le critiche piovute sul gruppo alla pubblicazione dei 2 album successivi alla fine dei "golden years" del gruppo... vuoi forse anche l'esaltazione e la nuova carica dategli dalla composizione della colonna sonora del film "Nightmare on Elm Street 5", che è poi sfociata nel rilascio di un album vero e proprio (il discreto "Tattooed Millionaire").

Fatto sta che, nel 1993, a conclusione dell'estenuante "Fear of the Dark Tour" con i Maiden, Bruce fa le valigie e saluta tutti, prendendosi dapprima un "periodo di riflessione" e imbarcandosi poi per questa nuova avventura solista; recluta come compagni il talentuoso chitarrista Roy Z e la sua band, i "Tribe of Gypsies" e nel 1994 rilascia il suo secondo album solista, questo "Balls to Picasso".

Un album che, nonostante la preparazione dei componenti della band, non è nulla di eccezionale: i veri capolavori di Bruce arriveranno qualche anno dopo... non si tratta di brutta musica o brutte canzoni, ma più semplicemente l'album non gode di una personalità ben definita: a canzoni complesse ed elaborate come l'opener "Cyclops", cha fa ben sperare sulla qualità dell'intero platter, si contrappongono brani decisamente scarsi e privi di mordente come le scialbe "1000 Points of Light" e "Fire". Inoltre, i pezzi appaiono slegati l'uno dall'altro: alcuni appaiono ancora legati alla matrice più puramente metal sulla falsariga dei Maiden, altre invece si lanciano verso territori diversi e un po' più variegati: è il caso della malinconica ballad "Change of Hearts", dal suo sapore quasi jazz (c'è da dire che i pezzi lenti, il buon Bruce li sa comporre...), oppure della inusuale ma trascinante "Sacred Cowboys", nelle cui strofe il singer si cimenta in una sorta di rap, per poi giungere ad un ritornello più convenzionale e molto catchy!

Il cd è un susseguirsi di alti e bassi: oltre alle già citate, da segnalare l'epica "Gods of War" e la totto sommato banale "Hell No", che sembra composta quasi esclusivamente per essere proposta live, a causa della parte centrale, in cui Bruce incita una fantomatica folla ad unirsi a lui nello scandire il ritornello della canzone (certo che cantare "Fear of the Dark" è tutta un'altra cosa, ma tant'è...); c'è spazio anche per l'allegra "Shoot All the Clowns". I picchi dell'album si trovano in "Laughing in the Hiding Bush", dove curiosamente tra gli autori figura anche il figlio di Bruce: pezzo dai riff taglienti, e che sarà giustamente una costante nei numerosi tour che vedranno Bruce girare tutto il mondo e che vedrà il pubblico partecipare caldamente ed urlare a squarciagola il trascinante refrain; la vera perla è però in ultima posizione, per chiudere fortunatamente con un gran finale: la maestosa ballad "Tears of the Dragon", perfetta in ogni sua parte, dal soffuso intro di chitarra acustica, alle malinconiche strofe, per arrivare allo splendido ritornello, impossibile da rimuovere una volta memorizzato; da sottolineare anche il lavoro di Roy Z, ora delicato nell'accompagnare la voce di Bruce, ora più deciso nella sezione strumentale dove cuce anche un'ottimo assolo, che si spegne poi su atmosfere quasi folk. Un pezzo da 10 e lode, forse non originalissimo, ma che alza da solo la qualità complessiva di un album come detto un po' approssimativo: forse Bruce ha voluto osare troppo e forse non aveva ancora le idee ben chiare su dove volesse indirizzare la sua nuova carriera lontano dalla "casa Maiden", come testimonierà infatti il successivo "Skunkworks", lontano anni luce da quanto fatto fino a quel momento dal singer, per poi tornare su territori più congeniali (e redditizi) con i successivi capolavori "Accident of Birt" e "Chemical Wedding"; qui, con "Balls to Picasso", ci troviamo ancora a metà strada: non certo un capolavoro, ma neanche un album da buttare.

Discreto, nulla più...

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