Perché fare finta quando si può fare sul serio...?

Altri salgono sul palco tra fumi, misteri, trucchi e mantelle per avere più carisma e sintomatico mistero. Loro no. Arrivano sul palco salutando e sorridendo. Imbracciano le chitarre, si mettono i ferri a tracolla, oppure si siedono e, semplicemente, partono con le note.

Altri usano sequenze elettroniche preregistrate a non finire. Loro no. Suonano tutto e un brano non è mai uguale a se stesso.

Altri hanno valanghe di cori registrati. Loro cantano tutti, alcuni benissimo, altri insomma, altri così così. Ma il risultato c'è. Sempre.

Altri ti buttano lì il loro concertino di un'oretta e mezza come fosse oro. Loro suonano mai meno di tre ore.

Altri seguono pedissequamente scalette studiate a tavolino, spesso dai produttoroni che stan loro alle spalle, secondo la logica marionettistica del "qui li facciamo abbracciare, qui li facciam saltare"... Loro no. Lui no. Cammina addosso al pubblico e prende dei bigliettoni con le richieste della gente. Le nostre richieste. E la gente chiede e vuole il pezzo che ama, cui ha legato momenti belli o malinconici, magari fosse anche un "B side" o un out-take, che nessuno mai farebbe dal vivo. Ed eccoti lì "None But The Brave". Altri, innamorati dei primi eighties, vorrebbero canzoni mai più fatte in concerto da allora o quasi, ed ecco, sempre grazie ai fogliettoni, "Hungry Heart", "Bobby Jean" e "I'm On Fire".

Altri, in una parola, se la tirano. Loro no.

Loro sono la E Street Band, capitanata da quel genio che è Springsteen, l'uomo che ha dato un nuovo significato al rock, al cantautorato e al folk, percorrendo con rigore e modestia i binari della tradizione, non uscendone mai, ma andando, rispetto a tutti, molto, molto avanti. E la cosa ha qualcosa d'oggettivo: chi ha quella voce, chi scrive così, chi tiene il palco in quel modo? Chi, in una sola persona, racchiude così tante caratteristiche uniche, così tanti pregi? Non Dylan. Non i pur bravi minori (tra i mille Adams, Cougar, Cohn). Non Van Morrison. Non James Taylor. Non Paul Simon. Potremmo andare avanti all'infinito. Springsteen ha sempre preso il proprio mestiere di songwriter molto sul serio, e contemporaneamente con grande umiltà. Quasi nessuno è finora stato in grado, dopo 25 anni di carriera e successi, di concepire un piccolo capolavoro qual'è stato "The Ghost of Tom Joad", e certamente nessuno è in grado, dopo oltre 35, di sfornare un disco come "Magic" ed un tour mondiale come quello che ha visitato l'Italia ben due volte nell'ultimo anno. None but the Boss.

Inutile: ci sarà sempre chi dirà che l'ultimo cantautorino malinconico, afono e possibilmente morto è più bravo del Boss. Ma è difficile che i critici (tutti o quasi), i musicisti (tutti, almeno quelli che conosco, e non son pochi) e una marea di gente in tutto il mondo possano sbagliare. Molto meglio godersi uno dei pochi grandi geni ancora in attività in quel meraviglioso campo secco e morente che è la musica cosiddetta leggera, che con Springsteen di leggero ha davvero poco. Con buona pace anche dei ricconi del quartiere del Meazza, capaci di indurre a decisioni talebane e ipocrite come la chiusura forzata alle 23.30. Il Boss, giustamente incurante, ha finito il concerto già in ritardo... Ma non contento è risalito sul palco per una definitiva, divertita e divertente "Twist and Shout".

Sì: perché la E Street sul palco si diverte ancora, e molto. Per un semplice motivo: hanno capito solo quello che i saggi capiscono: perché fare finta quando si può fare sul serio?

 

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