Bruce Springsteen e l’11 settembre. Springsteen che entra in studio di registrazione e risponde all’attacco con un disco sull’orgoglio ferito degli Stati Uniti. Il Boss voce dell’America che rialza la testa. Healing the nation, come recita il titolo di un articolo su “The Rising”. Mmmmhh… mi sono chiesto: ma è proprio vero che questo è un disco a tema sull’11 settembre? Possibile che Springsteen sia così furbo e populista? Certo che è possibile, diranno gli "Haters". Springsteen grezzo, populista, rockettaro da minorati musicali bla bla bla. Ok, allora analizziamo direttamente i testi delle canzoni. Udite udite: su 15 solo 1 canzone si può considerarla a tema: Into the Fire, omaggio esplicito ai pompieri intervenuti alle Twin Towers. Poi solo vaghi accenni: Empty Sky, dove si legge Blood on the streets / Blood flowin' down, e Worlds Apart che, pur senza riferimenti specifici, ovviamente allude ai due mondi, occidentale e arabo. Tutti gli altri brani non contengono affatto rimandi univoci all’11 settembre. Springsteen parla di desolazione e speranza, i suoi temi preferiti, senza riferimenti storici precisi. Come del resto ha sempre fatto.

Prendiamo Paradise ad esempio. Quasi tutti dicono che parla di un terrorista; eppure, leggendo con attenzione il testo, l’identificazione non è così scontata. La prima strofa: Where the river runs black / I take the schoolbooks from your pack / Plastics, wire and your kiss / The breath of eternity on your lips, “Là dove il fiume scorre nero / Prendo i libri di scuola dal tuo zaino / Plastica, filo e il tuo bacio / Il respiro dell'eternità sulle tue labbra”. Plastica e filo qui hanno a che fare con le bombe? Forse, ma chi può dirlo con certezza? A me il metterli insieme ai libri di scuola e al bacio non fa pensare immediatamente al terrorista bombarolo. La seconda strofa continua su un registro ambiguo: nel mercato affollato l’io narrante guarda vagando di faccia in faccia, trattiene il respiro, chiude gli occhi e aspetta il paradiso. Potrebbe trattarsi di un terrorista kamikaze l'attimo prima di esplodere, o forse rappresenta solo un’istantanea di chi attende con ansia l'arrivo dell'amata/o. Le strofe seguenti presentano immagini oniriche a mio avviso ancor meno accostabili all'immaginario terrorista. È chiaro comunque il senso dell'immagine finale: I break above the waves / I feel the sun upon my face, “Riemergo dalle onde / Sento il sole sul viso”. Ma facciamo un altro esempio. Prendiamo You’re Missing. Dove sta scritto che racconta dell'assenza di una vittima del 9/11? Nel testo nessun riferimento, diretto o indiretto, ai morti delle Twin Towers. È semplicemente una canzone sulla perdita di un familiare, probabilmente la moglie dell’io narrante (vd. i versi Too much room in my bed e Will you be in our arms tonight). Ma allora Paradise non c’entra niente con i terroristi e You’re Missing niente con le vittime dell'11 settembre? In “The rising” l’11 settembre è il punto di partenza, non d’arrivo. All'arrivo troviamo canzoni di respiro più ampio, che vanno al di là della vicenda storica particolare.

Springsteen è meno rozzo di quanto sembra, e qui perdonatemi una breve parentesi. Il problema è che molti non riescono ad andare oltre la prima impressione: siccome una volta lo hanno visto avere successo in tv con la t-shirt smanicata e il pugno alzato urlando una hit dal titolo Born in the USA, da quel momento eccolo bello impacchettato ed etichettato: il grezzo del New Jersey, l’uomo che se gli metti una vanga al posto della chitarra non se ne accorge (a proposito o voi amanti della sei corde, fate un piccolo sforzo e andatevi a vedere Prove It All Night live 1978 oppure l’assolo di chitarra acustica su Open All Night live in Dublin).

Ma torniamo al punto. “The Rising” è un gran disco. A mio avviso, si colloca in seconda posizione dietro il terzetto dei capolavori springsteeniani (“Born to Run”, “Nebraska”, “Darkness on the Edge of Town”), accanto a “The River”. Al paragone con il doppio album qualcuno storcerà il naso; e allora mettiamone a confronto i pezzi. Su Further On (Up the Road), The Rising e Worlds Apart il mantice della E Street Band soffia come ai vecchi tempi rock’n roll (You Can Look, Cadillac Ranch e Ramrod). Waitin’on a Sunny Day ripete la magia di Hungry Heart, e non è una bestemmia: basta vedere l’accoglienza che il pubblico ne dà ai concerti. Mary’s Place o Lonesome Day reggono benissimo il confronto con Two Hearts o Out in the Street. Il senso di angoscia di Paradise ricorda quello di Point Blank. E poi You’re Missing. Toccante come Independence Day. Certo manca un classico come The River; e forse questo è l'unico motivo per cui al gioco della torre (quale dei due getteresti di sotto?) vincerebbe l'album del 1980.

In ogni caso, in “The Rising” si trovano tutti brani di spessore, tranne Let's be Friends (Skin to Skin), decisamente troppo leggero sebbene orecchiabile, e forse anche il vagamente retorico Countin’on a Miracle. Ma io domando: non c’erano anche I Wanna Marry You e I’m a Rocker in “The River”? Insomma, ci sono belle canzoni, c’è la E Street Band e il produttore Brendan O’Brien fa un buon lavoro (a differenza, a mio avviso, di “Magic”). Il risultato è uno dei migliori Springsteen di sempre.

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