Sì, lui, proprio John McClane. Evidentemente ad un certo punto Bruce Willis ha sentito l'esigenza di seguire una strada verso altre frontiere, un campanello d'allarme che cercò di farlo allontanare dal rischio di essere etichettato come clone pelato di Sylvester Stallone del cinema americano, così oltre ad esperienze cinematografiche tentate durante gli anni 90 in ruoli lontani dalle bombe a mano e dal consueto volto coperto di ferite (alcuni riusciti come "Il sesto senso", altri meno come "Il colore della notte") il macho hollywoodiano ci ha provato anche con la musica.

A differenza di altri colleghi l'esperienza non fu negativa, e come testimonianza di ciò rimangono due dischi partoriti verso la fine degli anni 80 fatti di un solido R&B ispirato alla musica statunitense che ha colorato il paese attorno alla metà del secolo scorso, il primo "The Return Of Bruno" del 1987 e questo "If It Don't Kill You, It Just Makes You Stronger" del 1989, il cui titolo potrebbe provenire tranquillamente da uno dei suoi film più conosciuti.

Dieci brani per lo più inediti di fattura molto buona, in cui Bruce Willis dimostra di essere anche un cantante capace, non sarà certo James Brown ma lo si ascolta volentieri e la band che lo accompagna ci sa fare. Il suo timbro vocale di stampo blues si sposa molto bene, oltre che con Demi Moore, anche con gli arrangiamenti guidati dagli ottoni di pezzi come "Pep Talk", "Crazy Mixed-Up World" e "Here Comes Trouble Again" così come con brani tipo "Soul Shake", più tendenti al soul, o lentaccioni da limonata in una road-house piena di neon e litri di birra sui banconi ("Save The Last Dance For Me", "Blues For Mr. D", e su quest'ultima canticchia anche Demi Moore). Non ci si crede che dietro al microfono ci sia proprio quel burbero mono-espressione duro a morire, ed alcuni passaggi del disco non avrebbero nulla da invidiare a gente come i Blues Brothers. Non scrive tutto lui, ci mette due toccate di penna qua e là per rendere i brani veramente suoi, e in alcune occasioni omaggia artisti maestri del genere ("Barnyard Boogie" è una cover di Louis Jordan). Robben Ford, alla chitarra e tastiere, è con ogni probabilità il musicista più valido che lo accompagna nella realizzazione di questa divagazione musicale, gli arrangiamenti sono spesso farina del suo sacco ed ascoltando la strumentale "Tenth Avenue Tango" è facile lasciare un po' andare la mente in mezzo al fumo del locale, pare quasi di vedere anche qualche cappello da cowboy e camicie a quadrettoni sparse qua e là.

Niente di epocale, niente che rimane, ma tutto sommato una scoperta interessante per un ascolto piacevole. Hippy ya ye, pezzo di merda.

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