La pagina che segue è figlia del nero periodo che ci tocca attraversare e vivere; per quanto mi riguarda ho una drammatica voglia di ascoltare il Metallo più estremo, becero, bastardo. Ciò mi serve per tenere sotto sedativo le ansie, le crisi di panico, le paure che vogliono di forza entrare ancora una volta nella mia mente, nella mia vita; e farmi malissimo come capitato più volte negli ultimi anni. Ecco quindi spiegato il fondato motivo del nuovo "sozzo" scritto.

Ho apprezzato dai primi lontanissimi ascolti i Brutality, combo americano della soleggiata Florida che ha preso forma già nel 1986. Autori di tre dischi negli anni novanta; uno di questi, When the Sky Turns Black, da me considerato come uno degli album migliori del Death Metal, alla pari di lavori storici che hanno marcato a fuoco un'epoca di band molto più famose come Death, Morbid Angel, Entombed, Carcass, Napalm Death ecc... ecc...

Profondi dissidi interni, scontri sul proseguimento di carriera e sulla linea musicale da seguire hanno portato all'improvvisa ed inaspettata rottura, alla fine del gruppo nel 1996, subito dopo la pubblicazione di In Mourning (che è stata una delle mie primissime recensioni su Debaser ormai sei anni fa...). Non avrei mai pensato ne sperato sinceramente di rivederli ancora insieme; ed invece nel 2013 ecco un EP di collaudo, per ritrovare coesione, per saggiare le forze da mettere in campo. Da qui il passo è breve ed infatti nel 2016 Sea of Ignorance sancisce il ritorno dei Brutality con un nuovo lavoro sulla lunga distanza. Un degnissimo episodio mi preme subito scrivere.

TI scaraventano, ti scagliano indietro nei decenni e ti risvegli negli anni novanta: non sembrano trascorsi vent'anni. Stessa tetra intensità, medesima violenza sonora; tutto è rimasto uguale, nulla è cambiato nel loro sound. Copertina buia che ricorda "World Demise" degli Obituary: oscura, malefica, disperata. Un mondo malato terminale, senza più speranza, che si dirige verso l'autodistruzione; fumi immondi fuoriescono da imponenti ciminiere, cimiteri e tombe abbandonate sporcano la scena. Si percepsice un'aria tetra che odora di morte imminente, di epidemie dilaganti. Fin troppo attuale purtroppo. Testi che raccontano di guerre tra popoli, di suicidi, di un'umanità malata.

Non è più presente alla batteria Jim Coker, capace nei precedenti capitoli, con il suo particolarissimo drumming, di creare le solide basi per quel suono così truce, asfissiante, ansioso che è la predominante caratteristica degli americani. Ma il sostituto Ruston Grosse non lo fa rimpiangere e non si nota differenza nell'ascolto degli otto brani del disco. Atmosfere malvagie, complesse, intricate, impossibili; giri di chitarra imponenti grazie al pazzesco lavoro di Jay Fernandez, instancabile nel costruire riff in continuazione, senza pause, senza tempi morti. Voce profonda, selvaggia; un growl dai toni estremi, lugubri, ripugnanti. Un caos sonoro, sempre tenuto sotto rigido controllo, che raggiunge il proprio gelido vertice in "Tribute": canzone che inizia con il classico mid - tempo di scuola Brutality, ma nel giro di pochi secondi deflagra, raggiungendo una velocità esecutiva disturbante prossima alla saturazione sonora dei Morbid Angel per farla breve. Ma non è finita perchè rallentano lasciando spazio ad un Doom degno dei primissimi episodi della "Mia Sposa Morente". Quattro minuti di terrore totale...ma che bellezza per la mia psiche decadente. Ben vengano allora questi suoni così cruenti e sanguinosi; è quello che mi serve.

Omaggiano i Bathory con la cover di "Shores in Flames": undici minuti che non voglio commentare, mi sono già dilungato troppo. Ve ne consiglio l'ascolto.

Un ritorno da voti massimi.

Back to the Past - Back from the Dead.

Ad Maiora.

 

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