Bryan Ferry- "Bête Noire" - 1987

Quella sera, l'acqua della doccia non ne voleva sapere di scendere. Quando acqua e schiuma gli arrivarono alle caviglie e il piatto doccia fu vicino a tracimare, si decise. Con il getto ancora aperto si chinò e iniziò ad armeggiare per smontare lo scarico. La placca superficiale venne via bene, ma la piletta sembrava incastrata. Tirò forte e con un rumore tipo tappo di Champagne, la piletta gli rimase in mano.

Alcune eleganti note e una voce melodiosa riempivano l'atmosfera, già satura di vapore acqueo. Ogni nota diveniva gocciolina d'acqua e condensava sul vetro della doccia, per correre, scendendo in maniera irregolare giù per il vetro ("Limbo").

Fu un rivolo di sangue, miscelato con l'acqua imbiancata dalla schiuma del sapone a fargli capire come non tutto fosse andato per il verso giusto. Chino, con le parti intime a bagno, fissò il sangue galleggiare e ondeggiare per infilarsi e perdersi lentamente nello scarico, ancora parzialmente otturato: guardò la mano sinistra e vide un bel taglio tra le falangi del dito medio. Solo allora riprese la piletta in mano per trovarla completamente otturata da lunghi capelli biondi, i suoi e neri, chissà di chi.

Un ritmo stranamente asciutto ed essenziale giocava a rimpiattino con il basso e con l'impeccabile pulizia della sempre riconoscibile Fender Stratocaster diteggiata da David Gilmour, sui quali quella splendida voce rotolava ipnotica ("Kiss And Tell").

E già, a quei tempi un bel numero di ragazze giravano per il suo piccolo appartamento e i capelli li aveva lunghi e soprattutto li aveva ancora. Fece una pallottola di quei ciuffi e la gettò nel wc. Rimise tutto a posto, l'acqua iniziò a scolare decisamente meglio, si asciugò, andò a disinfettarsi e a stendersi un cerotto. Tutto questo accadde nel lasso di breve tempo, qualche minuto, forse. Sicuramente meno della durata del brano che stava scorrendo a volume sufficientemente alto da superare lo scroscio della doccia. Ma perché si ferì? Forse quella canzone portava sfiga? Forse i pensieri, accavallati e appesantiti dalla stanchezza lo fecero operare in maniera sbadata? Sì, tutto possibile, ma cos'è che stava ascoltando quella sera, forse troppo attentamente.

Quel disco era appena uscito e l'aveva piazzato sul piatto già tre volte, in poche ore. Il vinile ondeggiava elegante, ricco di estreme raffinatezze, abbracciato da quel po' di calda malinconia che sa di ricordi e di baci, di baci dati e non dati, che impregna l'anima di cose note, alle quali vorremmo dare un nome, un volto, un suono, un odore ("Zamba"). Le note erano ricche di sapore che adesso sappiamo riconoscere come pop sofisticato "anni ‘80", ballabile, trascinante, confezionato nel migliore dei modi grazie a produzioni impeccabili, con professionisti di grande levatura ("The Right Stuff", "Seven Deadly Sins").

Le seppioline con i piselli, erano quasi pronte così come la pasta da condire con cozze e patate. Sulla tavola, le due postazioni erano perfettamente allestite.

Un suono malmostoso, vagamente ombroso e lunatico si faceva avanti. Sostenuto dalle ritmiche chiarissime, precise e delicate di Vinnie Colaiuta e da strali percussivi molto latineggianti ("The Name Of The Game").

Il campanello suonò quando tutto fu pronto per la magica notte che avrebbe accompagnato i suoi migliori pensieri, per parecchio tempo.

L'ultimo brano del disco stava scorrendo quando i due si abbracciarono e si baciarono. Lui sentì i seni di lei, caldi, premere contro il suo petto. Il brano si trascinava su un ritmo molto latino, tra tango e lambada, con un mesto bandoneon che dava al tutto un senso di sensuale coinvolgimento, nulla poteva andare meglio ("Bête Noire"). Quel disco forse non era un capolavoro, più probabilmente era uno strumento perfetto: un gioiello del pop inglese, bello e utile. Come dimenticarlo ...

Sioulette.

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