Per la prima volta scrivo di un album blues inciso nel nuovo millennio da uno dei maggiori chitarristi di Chicago del dopoguerra: Buddy Guy.
Sulla storia di Guy non parlerò, se ci sarà modo lo faro quando e se prenderò in esame le sue prime incisioni, qui mi limito a dire che arrivava da una serie di album di buona qualità, ma in cui c'era molto di già sentito, forse per ragioni commerciali o per un calo di creatività, ma con il disco in questione "Sweet Tea" inciso dalla Silverstone Records nel 2001, Buddy, ormai 65enne sembra avere trovato una nuova vena creativa e una nuova via sonora.
Il titolo Sweet Tea è dovuto al nome dello studio in cui è registrato l'album (fotografato anche in copertina) perché di "sweet", musicalmente parlando, non c'è praticamente niente, anzi è un blues selvaggio e ricco di distorsioni.
Bisogna anche dire che di questo disco non si può parlare senza accennare al fatto che i brani qui contenuti sono cover di Delta blues e suonati nello stile del sud, ma non sono cover di classici standards, ma principalmente di brani degli anni '90 e quasi tutti editi dalla benemerita casa discografica Fat Possum e la maggior parte sono di un bluesman del Delta, ovvero il grande Junior Kimbrough.
La domanda viene spontanea: come mai uno storico musicista di Chicago (anche se natio del sud) decide di incidere brani di Delta blues e addirittura di interpretare ben 4 canzoni (su 9 del disco) di un blusman come Kimbourgh?
La prima parte della domanda è scontata, è un omaggio alla sua terra d'origine, mentre la scelta di Junior, secondo me, è dovuta al fatto che Guy ha trovato in questo bluesman un'originalità e un nuovo modo di fare blues e dal suo sound ha tratto ispirazione per le sonorità di questo disco.
Il brano d'apertura "Done Got Old" è appunto di Kimbourgh inciso nel suo album d'esordio "First Recordings" del 1966, qui Buddy è in solo, con voce e chitarra acustica, la 6 corde è un accompagnamento per la penetrante interpretazione vocale, rispetto all'originale è decisamente più dolce e tranquillo, ma ne mantiene comunque tutta l'inquietudine di fondo.
Dopo questa canzone Guy torna ad abbracciare definitivamente l'elettrica ed entra la band fino all'ultima traccia del disco e da cui la nuova direzione sonora. Il gruppo è composto da James "Jimbo" Mathus alla chitarra ritmica, Davey Faragher al basso, Spam (Tommy Lee Miles) alla batteria e in alcune traccie si possono ascoltare anche Bobby Whitlock al piano, Craig Krampf alle percussioni, Pete Thomas e Sam Carr alla batteria. La band offre un sound coeoso, brutale, duro e crudo spinto sui bass fuzz.
Sempre tratte dal songbook di Junior, ma più recente (anni '90), sono anche "Baby Please Don't Leave Me" dalla sonorità vorticosa e acida, la rockeggiante "Stay All Night" e la lunga, oltre i 12 minuti, "I Gotta Try You" questa è la più vicina alle atmosfere ipnotiche, allucinate e cupe del tipico sound di Kimbourgh. La canzone è una cavalcata dal ritmo sinuoso e volutamente ripetitivo in cui Guy ci regala una carellata di interventi chitarristici stratificati, fino all'ottavo minuto (circa) dove la sua 6 corde raggiunge la massima pressione per esplode in un fiammeggiante e ispirato solo che termina con un omaggio a Jimi Hendrix (si sa, i due hanno anche suonato insieme in jam).
Di James T Model Ford è "Look Whant All You Got", nell'ottima versione di Guy la distorsione la fa da padrona. "Tramp" di Lowell Fulson e Jimmy McCracklin è un altro brano del '66 dal sapore funky blues, ma Buddy ne modifica la melodia e rende il tutto più rock, il clou arriva con il bellissimo solo finale senza confini, distorto e impetuoso, anche qui aleggia lo spirito di Hendrix. "She's Got The Devil In Her" è di Cedell Davis, rivisitato da Guy in una versione compatta e dura. "Who's Been Foolin' You" è una bellissima canzone di Robert Cage, che purtroppo Guy trasforma in una blues rock un po' canonico e senza slanci particolari, sorvolabile, molto meglio l'originale.
Il disco si chiude con l'unico originale di Buddy, ovvero "It's A Jungle Out There" un lento emozionante, dove esplode in svariati colori la sua chitarra mai doma.
Questo "Sweet Tea" è un disco pieno di sorprese, che pecca un po' nella resa sonora, che poteva essere ancora più ruvida e con le immediatezze di una jam session viste le intenzioni, ma al di là di piccole pecche produttive rimane un grandissimo disco blues e uno dei migliori della lunga e strepitosa carriera di Buddy.
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Altre recensioni
Di IbanezGengis
Sweet Tea non è altro che un disco di blues estremamente graffiante, grezzo, che di sweet non ha proprio niente.
un disco molto interessante... per come viene interpretato il suddetto materiale, che sprigiona un’intensità ed un’energia straordinaria.