Digital Trance

Time in jazz  è ormai diventato uno degli appuntamenti culturali più importanti dell'anno in Sardegna. Un evento non solo musicale, ma di più ampio respiro giacché coinvolge arti visive, poesia ed anche una nuova concezione del territorio. Infatti, la rassegna nasce a Berchidda, paese natale di Paolo Fresu deus ex machina dell'evento, ma coinvolge altri ambiti, spesso insoliti, dato che numerosi concerti ed happening vengono realizzati nelle vecchie stazioni ferroviarie, sui treni stessi, all'alba nelle campagne all'aperto oppure, come in questo caso, nelle chiese campestri. Sant'Antioco di Bisarcio è appunto una chiesa medioevale, realizzata in trachite, eretta su una roccia che domina una campagna dove non c'è niente, se non il silenzio. Un luogo indubbiamente affascinante, così come immaginavo dovesse essere altrettanto affascinante il concerto di Bugge Wesseltoft e Sidsel Endresen. Il pianista e la cantante norvegesi, infatti, sono esponenti di primo piano di quel genere che alcuni chiamano nu-jazz, un genere caratterizzato dalla ricerca continua di nuove frontiere musicali contaminate dal funky, l'hip hop, l'ambient ecc. Queste frontiere sonore per ora sembra che si siano collocate stabilmente nel Nord Europa, si pensi ad esempio al sassofonista Jan Garbarek, e ciò si evidenzia ascoltando l'ultimo disco di Bugge e Sisdel - "Out Here, In There" - che è stato uno dei cardini su cui si è sviluppato questo concerto.

Previsto per le 18.00 (inusuali anche gli orari) il live slitta di un'ora perché il tecnico del suono, giunto direttamente da Oslo per l'occasione, ha scontato un forte ritardo. Fa niente, c'è tempo per scambiare due chiacchiere con gli amici e godersi il panorama. Mi chiedono se conosco Bugge Wesseltoft ed io a questo punto spiego che se la sua musica è giunta ai miei timpani lo devo a debaser, anzi a un debaser, che gentilmente (thx) mi spedì un suo disco un annetto fa: New Conception Of Jazz. Mi chiedono quindi se è un bel disco. "Bellizzzzzzzzimo" rispondo. Superata la perplessità per un moltiplicarsi improvviso di zeta, i portoni della chiesa si aprono e prendiamo posto. Tastiere e diversi aggeggi elettronici fanno bella mostra di sé, mentre Paolo Fresu ci presenta gli artisti, felici di poter suonare in luogo così particolare. Bugge sorride, Sisdel è scalza ed ha uno sguardo intenso ed affascinante. La parola poi passa alla musica. La voce di Sisdel si rivela subito nella sua magnificenza. È dolcissima, lieve o acuta e mette in fila una serie di canzoni per lo più derivanti dal pop rock, rivisitate in chiave nu jazz grazie agli arrangiamenti di Bugge wesseltoft, che durante l'esibizione si muove di continuo fra tastiere, batteria elettronica e mille altre diavolerie ipertecnologiche di cui ignoravo perfino l'esistenza. Anche il microfono di Sisdel è collegato ai pc in modo tale da modificare continuamente la sua voce con effetti, spesso ipnotici. Non è un caso che il titolo della rassegna quest'anno sia "Digital Trance".

L'insieme musicale, unito anche alla cornice particolare che ospita il concerto, è dunque di indubbio fascino, perché l'unione efficace tra melodia, elettronica e sperimentazione avviene in un modo che appare non traumatico, ma naturalissimo. Forse ciò si è verificato anche grazie alla perfetta intesa tra i due. Invero, di tanto in tanto si poteva cogliere tra loro uno sguardo, un sorriso o un cenno di intesa. Poi, quando è cominciata tra ritmi elettronici la cover di "50 Ways To Leave Your Lover" di Paul Simon, la partecipazione emotiva del pubblico è diventata palpabile, testimoniata dall'applauso leggermente intimorito regalato alla fine dell'esibizione. Ma non sono mancati momenti, per così dire, più sconcertanti. Ad esempio, ad un certo punto sul tappeto sonoro predisposto da Bugge, Sisdel ha iniziato a giocare con la voce producendo sempre più velocemente un turbine di suoni taglienti e gutturali, dando una sensazione alienante, che trasportava in uno stato ancestrale. In questi momenti la cantante norvegese mi ha ricordato qualcosa a metà tra Mari Boine Persen e Meredith Monk giusto per darvi un'idea, ancorché vaga. Però devo ammettere che il pubblico forse non era preparato per qualcosa del genere e mi è sembrato molto disorientato. Forse per questa ragione il duo ha allora sviluppato il concerto in una direzione più "tradizionale", proponendo altre cover accattivanti, amabili e suggestive. Una strada forse più digeribile per tutti, ma a mio parere meno affascinante della sperimentazione vocale di cui abbiamo avuto un ottimo assaggio. Tuttavia, nel complesso è stato un concerto molto interessante, atipico che forse poteva volare più in alto, ma alla fine queste sono solo sottigliezze.

Carico i commenti... con calma