Gruppo simpatico i Bullet for My Valentine. Capaci di sfornare un album di debutto promettente (The Poison), seguito da un secondo atto discreto ma inferiore al predecessore (Scream Aim Fire), per poi pubblicare altri due album banali, uno più brutto dell'altro (Fever e Temper Temper). Si direbbe il classico gruppo venduto, costruito a tavolino per attrarre orde di ragazzini frangiati ed incassare soldoni facili.

I nostri partirono da un metalcore con pesanti influenze emo (adolescenziale ma efficace) per poi abbandonare quasi del tutto tali influenze, intraprendendo un processo di graduale semplificazione del sound che via via si è sempre più alleggerito, fino a diventare un connubio amorfo di rock, metal, pop, punk, e chi ne ha più ne metta. Insomma, nel penultimo pietoso album (Temper Temper, così easy che potrebbe piacere anche a tua nonna) è evidente che lo stile musicale dei Bullet era divenuto del tutto indefinibile, né carne né pesce.

Ciò che stupisce di più è la stupidità dell'"operazione commerciale" che i produttori hanno operato sul quartetto gallese: una commercializzazione anti-commerciale. La band che era stata presentata inizialmente come la risposta europea a Trivium ed Avenged Sevenfold, stava passando sempre più in secondo piano. Che senso ha forzare un alleggerimento del sound (con conseguente perdita di qualità compositiva) se per accontentare i fanboy metallari di tutto il mondo basta un pò di growl, qualche shred qua e là e una doppia cassa tirata?

E naturalmente, qual è la migliore ricetta per risollevarsi dal baratro e pararsi il didietro in calcio d'angolo? Un "brusco ritorno alla rabbia delle origini", come Matt Tuck (frontman) definì il disco prima della sua uscita. Considerato che la pseudo-evoluzione del sound si è dimostrata un complessivo fallimento, niente di meglio che riesumare il vecchio sound e ripropinare al pubblico la stessa minestra di 10 anni fa. Il risultato è questo Venom: com'è? Piacevole.

Apparentemente l'album sembra riportare agli esordi la band, anche se ascoltandolo attentamente ci si rende conto che di quei tempi è tornata solo la maggiore aggressività. Le influenze emo sono assenti, la struttura delle canzoni in realtà è la stessa di quella del penultimo album. È come se il quartetto gallese avesse preso il disco predecessore e l'avesse immerso in una colata d'acciaio, e ne fosse uscito questo Venom. Ritornano i growl (mai troppi), le ritmiche adrenaliniche, la doppia cassa martellante, insomma il tutto è confezionato ad hoc per recuperare i fan di vecchia data. Ma si tratta comunque di un'altra band rispetto a quella di 10 anni fa (ne manca la vena compositiva). L'album si avvicina forse più a Scream Aim Fire, speciamente nella componente thrasheggiante dei riff di chitarra.

Nonostante la carenza di personalità (niente di nuovo sotto il sole) l'album è ben confezionato, spaziando fra alti e bassi: le veloci No Way Out, Army of Noise e Broken sono forse le più riuscite; If You Want a Battle Here's a War è il classico singolone con coro da stadio che vince e non convince, con un'alternanza di pesantezza e melodia che sembrano incollate per forza; la title-track, che fa il verso alla ormai leggendaria hit Tears Don't Fall, sicuramente è il pezzo meno ispirato (tralaltro rappresenta il secondo autoplagio della stessa canzone, già il primo era avvenuto con Tears Don't Fall - Part 2 del precedente disco). Le altre sono una serie di filler che non dispiacciono ma non si lasciano ricordare.

La sensazione che pervade la mente durante l'ascolto è quella di un dejà-vu costante, per quanto non dispiaccia tanto muoversi in terreni già noti. Le canzoni sono così orecchiabili e prevedibili che si stampano in testa con facilità. Ma comunque, tra un ricicliaggio di idee e l'altro, se si paragona il disco ai due minestroni precedenti, non si può che rimanere soddisfatti, stravincendo sulla mediocrità delle ultime uscite. Si tratta forse del secondo miglior album della band dopo il debuttante The Poison, al pari di Scream Aim Fire.

I fan di vecchia data saranno entusiasti di rivedere i propri beniamini che pestano come una volta. I metallari di passaggio potranno usarli come riscaldamento delle orecchie, per poi ascoltare roba più seria. Album che tocca la sufficienza.

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