Alle volte è facile pensare immersi nel buio: le vibrazioni grattano l'aria, gli occhi si alleggeriscono, i sensi si dilatano.

Inevitabilmente la musica ama il buio; rimanere sospesi "a terra" tra note e note e note e soffi di violino e carezze di pianoforte e abbracci di batteria. Ritmi alti, ritmi bassi, ritmi veloci, ritmi lenti, ritmi di uno che ha bisogno di godere steso a letto, immerso nel buio. Da solo. Senza mani.

Ma Burial non è cosi. William Bevan non ha bisogno di luci spente, di atmosfere da camera. Lui crea le note che dipingono la notte.

Basta, le palpebre si stanno abbassando, passiamo al disco.

"Untrue" potrebbe essere catalogato, etichettato, marchiato a fuoco come un album profondamente dub. "Profondamente": mai parola fu più azzeccata; è proprio l'elemento della profondità, dello scavare nella terra (e nella nostra anima in questo caso) la chiave di volta di quest'opera.

Suoni cupi, non tetri, carichi di fantasie lente, spiccatamente slow, dannatamente bass. Appunto, drum 'n bass, altra parola-chiave.

L'uso incessante, quasi metodico, di un sound basso e cavernoso (ma non per questo ferroso e stridente) è ciò che fin dall'inizio si può notare: superata la terrosa introduzione, "Archangel" ci porta direttamente sul tetto di un grattacielo, di notte, sotto un'incessante pioggia; sentire il freddo quando si è stesi sul letto, al caldo.

Se poi a tutto questo si aggiunge una voce, più voci, sommesse, arrendevoli, si capisce ben presto che il nostro cuore non potrà più essere lo stesso.

Si spalanca un pianto silenzioso, interiore, carnale.

E si continua cosi, fra tracce che si snodano e che snodano un'imprevedibile nostalgia, non per qualcosa in particolare, non per un ricordo, non per un rimando logico della mente, ma per tutto.

"Near Dark" è davvero vicina all'oscurità più totale; "Ghost Hardware" pare dissolversi in frammenti di cristallo che trapassano il nostro ego: diventiamo sadici del nostro dolore, il nostro nuovo piacere.

"Endorphin", forse la più commovente dell'intera opera (d'arte), rimanda ai Massive Attack più sabbiosi, quelli più sciamanici: è l'apologia del silenzio e del sacro, una droga paradisiaca.

Le lacrime ora vogliono uscire, il piacere è troppo, ma i singhiozzi coprirebbero il synth. E allora per una volta ci costringiamo a rimanere "reali", il metafisico può attendere.

E' la volta di "Etched Headplate". Si apre un nuovo mondo. Il ritmo diventa simil deep-house, la voce sempre più eterea, ai limiti dell'androgino... eppure cosi vera.

Preghiamo che questo viaggio onirico possa non finire mai, dopo sarebbe l'oblio.

Le seguenti "In Macdonalds", "Untrue" e "Shell of Light" non fanno altro che confonderci e farci perdere le tracce di quello che stiamo sentendo: trip-hop? elettronica? dubstep? house? post-rock da camera? Niente di tutto questo. "Untrue" (l'album) è forse uno dei rari casi in cui la musica domina tutti i suoi sottogeneri.

Ancora non è finita.

Gli ultimi brani continuano il loro (il suo) sporco lavoro di redenzione, di depurazione da tutto ciò che non vuole e non può essere Burial. Eccole le sue nuove colombe del cilindro: pulsazioni lounge, scansioni tribali, cori soul.

Le vibrazioni diventano troppe, quella sottile gamma di suoni e voci rischia di invadere per sempre la nostra intimità.

La fine dell'album è la nostra salvezza.

Dopotutto non vorremmo mica perdere il senno...

...o forse sì?

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