La prima cosa che salta agli occhi nella copertina è il nome di Miles Davis, che non figura come leader ma come semplice membro della band.
L'ascolto in realtà rivela che l'immenso Miles non solo è su un piano di assoluta parità con il "titolare" di questo disco ma addirittura spesso ha l'onore della prima esposizione dei temi. Però viene lo stesso da chiedersi chi diavolo era questo 'Cannonball Adderley' per potersi permettere il lusso di un tale "collaboratore". E non c'è una risposta logica, se non che questo privilegio sembra riservato a chi suona uno strumento ben preciso: il sax contralto.
Alla fine degli anni '40 troviamo infatti un Miles Davis ancora un po' acerbo come spalla di Charlie Parker, il più grande sax contralto di sempre. Dieci anni dopo (1958) lo ritroviamo già dotato del suo inconfondibile timbro, ma sempre intento ad affiancare un sax contralto suonato da un discepolo dichiarato di Charlie Parker, in questa pietra miliare del jazz intitolata "Somethin' Else".
Julian Adderley ebbe il nomignolo di "Cannonball" non si sa bene se per il suo leggendario appetito (distorsione di "cannibal") o per la sua rotondità ("palla di cannone"). Posso comunque assicurare, per esperienza diretta, che le due cose in genere vanno di pari passo. La sua formazione fu particolare, passando attraverso la tromba e le bande militari, ma una sua casuale apparizione nell'orchestra di Oscar Pettiford, dovuta all'assenza di un titolare, lo convinse (e non solo lui) che lo strumento della sua vita sarebbe stato il sax contralto.
La geniale intuizione di Paolo Conte sulla "parlata grassa" del sassofono sembra più adatta per descrivere gli strumenti dal registro più grave (sax tenore e baritono), ma Cannonball sembra trasmettere la sua pinguedine anche al suo acuto strumento, e da ciò deriva un suono inconfondibilmente corposo, cremoso, davvero "grasso" nel senso contiano della parola. L'alternanza di questo suono con l'ormai leggendaria stilettata della tromba di Miles Davis, resa ancora più tagliente dall'uso della sordina, costituisce uno degli aspetti più affascinanti di questo disco, che vede all'opera un quintetto dove anche i comprimari sono di grande qualità: Hank Jones al piano, Sam Jones al basso e addirittura Art Blakey alla batteria.
L'avvio è spettacoloso: "Autumn Leaves" è la versione jazz di un classico della canzone francese ("Les feuilles mortes"). Un'interpretazione così personale e ispirata da trasformare per sempre questo motivo in uno standard del jazz, nonostante la sua origine del tutto estranea a questo genere. Un'introduzione dal ritmo seducente e un po' latino, che sembra anticipare le "verdi milonghe" di Paolo Conte, prepara la strada all'entrata di Miles Davis, che con il suo suono affilato traccia il solco del tema; poi Cannonball lo approfondisce da par suo con larghi fraseggi. Quindi ancora Miles estende l'orizzonte improvvisando frasi sempre più elaborate e confrontandosi questa volta con il tocco sobrio e delicato del piano di Hank Jones, che ha un ruolo importante anche nella coda, affidata allo stesso tema "neutro" dell'introduzione.
Chi ha un cappello in testa se lo sarà già tolto, ma a questo punto parte un altro grande standard, "Love For Sale", di Cole Porter. Breve e prezioso preludio pianistico, e poi via libera ad un ritmo tra il latino e il tribale, magistralmente scandito da Art Blakey e Sam Jones, e di nuovo il graffio indelebile della tromba di Miles Davis a disegnare una traccia, puntualmente elaborata ed estesa dallo straripante sax di Cannonball. Poi ancora Miles che rilancia, e Hank Jones che gli risponde con la solita pacatezza. Ripetizione di uno schema perfetto, ma non ci sono più cappelli da togliersi.
"Somethin' Else" è una creazione di Miles Davis, che con cadenze lineari, estremamente moderne per l'epoca, costruisce una perfetta base per una vera e propria conversazione amichevole tra i due grandi solisti, che un po' giocano ad imitarsi come pappagalli, un po' fanno sul serio, con assoli così nitidi da sembrare scolpiti nell'aria. Un gioiello di umorismo musicale, oltre che la solita prova di abilità. Più convenzionale "One For Daddy-O", di chiaro stampo blues, con il sax che stavolta prende per primo la parola con fantasiosi e colorati svolazzi, ma quelli di tromba e piano non sono certo da meno. "Dancing In The Dark" è un lento assai cantabile, e in effetti il sax di Cannonball, qui unico solista, riesce davvero a cantare con una voce dal calore quasi umano. Miles Davis diceva che questa interpretazione gli ricordava quella della divina Sarah Vaughan, e non era certo uno che faceva complimenti a vanvera, anche se nelle note di questo disco si trovano paragoni illustri un po' per tutti, specie per Hank Jones, accostato a Bill Evans e a Teddy Wilson.
Chiude il CD "Bangoon", assente nel disco originale. È un brano semplice e spensierato firmato Hank Jones, ed è un ulteriore banco di prova per un quintetto perfettamente assortito, anche se dominato da due solisti in stato di grazia.
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