C’è una nuova generazione di rapper che ha imparato il flow da Future e l’italiano da Pop Smoke; beati loro e i loro bagnati sogni trap. Crescono ormai anche al di fuori da Milano, in paesini sperduti dove per ogni lago che vedi ti immagini un ragazzino in mutande che spara col mitra. Ecco, Capo Plaza c’entra poco con l’estetica umidiccia di certo rap del sud, eppure ha un certo modo neomelodico di masticare le rime che sembra gli scivolino fuori dalla lingua. Le melodie non per note, ma per barre. Insomma, lo yin nello yang, Salerno che sciabola in montenapo.

Il suo nuovo disco rompe il cazzo a metà del primo ascolto, ma se avrete la fortuna di skippare fin da subito le tracce giuste, vi troverete in mano il gotha della rap-dozzinale-ma-che-ti-va-vibrare-il-petto di oggi. Non quella con Gunna, nemmeno la quarta ripresa di Allenamento, ma romantiche zarrate come No Stress, Street e Non Fare Così. Cose banali e tristi e dolci, e che ci fanno brillare gli occhi mentre guardiamo le luci della città che evaporano in slow motion.

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