When Don met Frank: Beefheart Vs Zappa, è il cofanetto che include i due dvd From Straight to Bizarre e Captain Beefheart under review. Da lì ho imparato ad apprezzare Beefheart. Prima non lo avevo assolutamente capito. Zero. Forse complice il fatto che nel periodo in cui ascoltai per la prima Beefheart, ero preso da gruppi più canonici, e lo scartai deluso. Guardando suddetto documentario, mi sono incuriosito parecchio e ho scoperto il fecondo sottobosco di orbita zappiana da cui proviene anche Beefheart: un ambiente fatto di groupies come le GTOs, un giovane ribelle come Alice Cooper, schizofrenici come Wild Man Fischer e Don van Vliet, in arte Captain Beefheart, compagno di scuola di Frank Zappa.

Nel 1970 Don van Vliet e soci avevano alle spalle “Trout Mask Replica”, oggi considerato l’opera prima della Magic Band, che però non portò all’epoca ad alcun successo commerciale. Chiusi in una casetta sulle Woodland Hills di Los Angeles, per otto mesi i membri della band avevano suonato quasi in una sorta di isolamento che portò a rapporti travagliati all’interno del gruppo. “Trout Mask Replica” è un vero e proprio sovvertimento del modo più armonico di concepire la musica. Questo esperimento continua con “Lick my decals off, baby” (Letteralmente: Leccami via gli adesivi, baby), titolo provocatorio, che secondo Beefheart sarebbe un invito a liberarsi dalle “etichette”, non importa se imposte dalla critica o dal pubblico, e valutare le cose non dalla superficie (da qui il termine “decals”: grande lezione per chi scrive, dato che io inizialmente Beefheart non l’ho capito minimamente). Fu proprio la critica a definire “Lick My Decals Off, Baby” un album superiore rispetto a tutto ciò che la band aveva fatto prima. Di nuovo prodotto dalla Straight Records, l’etichetta (leccata via) di Frank Zappa. La produzione non è più in mano all’amico dei tempi di scuola Frank Zappa, poiché è lo stesso Beefheart ad occuparsene direttamente.

Come classificarlo questo disco? Progblues? Avantprogblues? Forse si cadrebbe proprio in ciò che Beefheart non voleva: le etichette. Ed è proprio questo il bello di questo disco, che è sicuramente inclassificabile, almeno nell’accezione comune del genere. Follia e genio sono fusi, inscindbili qui. L’album comincia con il manifesto più importante del disco, ossia la title-track, in cui si avverte quanto grande sarà il delirio organizzato che scandisce il tenore dell’album. Indubbiamente c’è una base blueseggiante (vedesi il delirio ipnotico di I Love You, You Big Dummy o The Smithsonian Institute Blues), profondamente stemperata da qualunque cosa passasse per la testa di Beefheart. Travolgente è anche ad esempio la ripetitività di Space Age Couple.

Molto belli sono gli strumentali del disco, perlopiù suonati da Zoot Horn Rollo alla chitarra e Rockette Morton al bassius O’Pheilius, ossia il basso a corde multiple (One Red Rose That I Mean e Peon). e talvolta con il “disturbatore” Beefheart al sax (Japan In A Dishpan) .

Apparentemente senza senso anche le lyrics, come in The Buggy Boogie Woogie, nonché The Clouds Are Full Wine (not Whiskey or Rye), in realtà permeate di un realismo e un simbolismo strazianti nelle associazioni veloci di shots o immagini.

Alle percussioni troviamo Art Tripp, che già aveva collaborato con Zappa in Cruising iwth ruben& The Jets (1968), Uncle Meat (1969) e collaborerà nel 1970 a Burnt Weeny Sandwich e Weasels RippedMy Flesh, oltre che all’album schizzato di Wild Man Fischer e King Kong, il tributo a Zappa del violinista jazz Jean-Luc Ponty. Spiacca soprattutto in Woe-Is-uh-Me-Bop e I Wanna Find a Woman That’ll Hold My Big TOe Till I Have To Go. Alla betteria tornò John “Drumbo” French, che aveva lasciato il gruppo per l’insoddisfazione con l’ambiente opprimente delle sessioni di registrazione “Trout Mask Replica”, subito richiamato.

Sovvertitore in pectore, avvertiamo questo soprattutto in Flash Gordon’s Ape, un caos acustico organizzato che chiude l’album. L’album complessivamente è come un profumo forte, che inizialmente ci colpisce con violenza, obbligandoci a ritrarci quasi infastiditi… finché ciò si attenua, lasciando una nota di cuore, quella fase centrale, in cui lo si ascolta ossessivamente ed infine… lo si inserisce regolarmente nello stereo, lasciando una piacevole nota di coda.

Ultima menzione va al bellissimo design della copertina del disco, con la scritta del titolo che forma questi eleganti ghirigori e contorna questa foto quasi aristocratica del gruppo ritratto in smoking in un una magione lussuosa. Dalla copertina non si presagisce nulla della follia contenuta nell’album, a differenza dell’album precedente. Sul retro c’è un visionario dipinto di Captain Beefheart e, profeticamente, il suo futuro, dato che a partire dagli anni’80 si dedicherà esclusivamente alla pittura.

Per anni il disco non è stato stampato su CD, fino all’interessamento della Rhino che, grazie al cielo, lo ha reso accessibile anche ai fan delle nuova generazioni. (La negata stampa deriva dal fatto che lo schizzato Wild Man Fischer, uno degli artisti sponsorizzati da Zappa, abbia mancato di poco con un posacenere la piccola Moon Unit figlia di Zappa, e per ripicca tutto il catalogo della Bizarre/Straight Records sia rimasto nel limbo per anni).

“Lick My Decals Off, Baby” rimase ben sette settimane al numero 20 delle classifiche inglesi.

Non a caso fu sempre il disco preferito di Beefheart stesso.

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