Come mai tutti (o quasi) i dischi dei defunti Carcass sono stati recensiti su Debaser, meno che “Swansong”? Perché questo disco è stato stroncato dalla critica e dai fedelissimi della band? Cosa ha che non va? Mettendo da parte le domande retoriche, resta il fatto che il lavoro che mi accingo a recensire ha riscontrato praticamente ovunque dissensi che ritengo essere ingiusti e (perché no) miopi. Infatti questo Lp è stato vissuto da tutti i fan come un tradimento vergognoso in quanto approda a lidi nuovi proponendo un sound molto più infarcito di melodie di quanto avessero mai fatto in passato: di conseguenza il tentativo di obliterarlo (si lo ammetto, l’inglesismo è una citazione dei Napalm Death) da parte delle turbe attonite. Quello che vorrei far notare ai nostri amici appartenenti alla categoria “metallari spacconi” è che i Carcass ci avevano già abituato ai voltafaccia e che, in più, la qualità del prodotto non è inferiore a quella dei precedenti. Come avete potuto dimenticare che proprio loro, che hanno inventato il Grind, nel 1991 hanno pubblicato “Necroticism: Descanting The Insalobrous”, un manifesto del Death metal, e che sempre loro nel 1993 hanno pubblicato “Heartwork”, che con il Death aveva già poco a che fare. Perché stupirsi se nel 1996 (dopo ben un anno dalla fine delle registrazioni) danno quindi alle stampe questo “Swansong” che propone un metal-rock, oltre tutto suonato bene? Tuttavia non mi voglio riferire solo a chi conosce questo cd, quindi ne parlerò in breve.

Il disco è composto da dodici canzoni, come già accennato molto melodiche rispetto agli standard del complesso: non vi aspettate un disco di Melodic Death di stampo svedese perché altrimenti siete proprio fuori strada. Di fatto “Il canto del cigno” è molto simile ad un rock violento e del metal mantiene solo la distorsione delle chitarre e il cantato inconfondibile di Jeff Walker (anche al basso). La line up appare mutila in quanto Ammot (chitarrista) aveva abbandonato la band in favore degli Arch Enemy (e qui preferisco non esprimermi): a onor del vero la sua mancanza non si sente così tanto e Steer (l’altro chitarrista) dimostra di sapersela egregiamente togliere da solo. Le linee di chitarra sono come al solito molto potenti senza rinunciare alla componente melodica, presente senza eccezioni in tutte le canzoni: apprezzabilissimo il fatto che il riffing, pur essendo legato a sonorità molto più soft e rockeggianti, non perde le strutture complicate del loro genere di origine. Il risultato è un rock complicato che esce dai cliché del genere e diventa, una volta tanto, qualcosa di interessante e musicalmente più fertile; non si tratta infatti del classico hard rock smargiasso e dissoluto, ma un rock pesante altamente ragionato e quasi riflessivo. Paradossalmente ha delle analogie con un disco dello stesso anno anche se appartenente ad un genere molto diverso, “Load” dei Metallica. Ovviamente questo album è più pesante ma il tipo di mood ricreato, tra decadentismo e rabbia, è molto simile: altro punto di contatto sono le sonorità (fatte le dovute proporzioni) che non sono mai troppo cupe e oppressive ma neanche serene e spensierate. Il drumming, così come le trame di chitarra, tenta di adattare la componente Death metal a canzoni decisamente morbide e ne scaturisce un risultato originale in cui la tecnica è soppesata e crea una struttura interessantissima. Il basso, però, si fa più statico e meno incisivo: Nonostante ciò Walker non delude e con la sua voce graffiante e sporca, dona al tutto quel tanto di cattiveria che lo tiene lontano dall’accusa di mollezza.Eccellente la produzione, piena, rotonda e molto adatta al tipo di musica suonata.

Al di là della tecnica dei musicisti, senza macchia anche se non troppo virtuosa, non capisco come si possano muovere imputazioni ad un disco con un songwriting come questo: le composizioni sono curate con grande sapienza, mettono insieme riff nati da una mente fervida e non rinunciano ad un feeling di grande urto. Canzoni come “Room 101” con il loro incedere disincantato e cinico, non lasciano dubbi sulla carica emotiva del disco: nei testi non sono più le facezie dei manuali di patologia, sono sprezzanti e rassegnate visioni di un mondo in rovina che i Carcass hanno scelto di esprimere con la melodia invece che con la violenza. Quello che intendo dire è che non bisogna fermarsi a giudicare la musica in quanto tale, ma ciò che essa evoca: e, sotto questa ottica, i tre inglesi non hanno disertato, tutt’altro. Sicuramente non c’è più l’impatto da headbanging dei primi lavori, ma questo non è un valido motivo per rinnegare “Swansong” che, per quanto non più Death metal, rimane un bel cd.

Questo è un disco che può piacere o lasciare perplessi, specialmente per chi conosce i primi lavori del complesso: io appartengo di sicuro alla prima categoria e vedo in esso non solo un prodotto valido ma anche un modo facile per accostarsi al mondo del Death. L’idea di fondere melodie rock con elementi metal può essere criticabile, ma il risultato è buono.

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