Siamo di fronte a uno dei libri più importanti della letteratura italiana del ‘900 scritto da un grandissimo scrittore (per vocazione) che divenne ingegnere (per necessità).

Ambientato a Roma, nel 1927, durante il fascismo "Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana" racconta di un omicidio avvenuto nel palazzo degli ori, così chiamato per via di diversi inquilini piuttosto facoltosi, al civico 219 di Via Merulana. Se passate da quelle parti al 219 c'è perfino una targhetta commemorativa.

L'indagine del caso, invero molto ingarbugliato (sennò che pasticciaccio è?), è affidata al commissario Ciccio Ingravallo, molisano che vien dalla campagna, uomo intelligentissimo, smaliziato, profondo conoscitore dell'animo umano, schietto, risoluto e velato da una patina di spleen. Ingravallo è forse la lente d'ingrandimento dello scrittore, un Gadda, senza dubbio in stato di grazia.

Tuttavia, Ingravallo non è il protagonista. Egli dirige le indagini, e scusate se è poco, ma in questo libro forse non esiste un vero protagonista o un protagonista assoluto.

Certo è un giallo, si, ma non solo, anzi. L'omicidio, pur rappresentando il corpus del libro, non è tutto.

Gli esseri umani, le persone e le loro relazioni, le loro (umane) debolezze, i tic, le manie, la loro dipendenza e la loro adorazione verso il dio denaro che, come una marea gigantesca e inarrestabile, tutto travolge e sulla quale tutto galleggia o tutto va a fondo a seconda del peso specifico.

Quindi, il vero protagonista è forse rappresentato dall'umanità che si barcamena e si agita in questa marea sovrana, da un'Italia di una volta tanto diversa da oggi eppure così familiare. Del resto i personaggi del libro sono i nostri nonni, bisnonni, insomma i nostri antenati no? Dal fascismo che, a più riprese, il Gadda non manca di bastonare, a modo suo, con graffiante ironia e senza sconti di sorta.

"Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana" non è di facile lettura, ma proprio  per niente. Si passa dall'italiano al romanesco al molisano con grande disinvoltura e perizia, è impressionante come Gadda padroneggi il romanesco (e i dialetti in generale, magari fu aiutato, non so, se così fosse, fu supportato proprio bene), si tenga presente che soggiornò a Roma solo successivamente alla stesura del romanzo che uscì una prima volta a fascicoli nel 1946 mentre si trovava a Firenze. Poi uscì come romanzo 10 anni dopo mentre si trovava a Roma da alcuni anni ma insomma, Gadda non era romano de Roma ma, cribbio, a tratti sembra di leggere un novello Rugantino laureato e invece è un milanese.

E che vocaboli tira fuori il Gadda! Parole per me, che non sono certo un letterato ma manco un ignorante totale, del tutto nuove, anzi mi sa che a volte, non vorrei sbagliare, ha proprio scritto dei neologismi di suo pugno.

Straordinaria la descrizione e caratterizzazione dei tanti personaggi che si affacciano appena o che hanno ruoli più significativi. Gli bastano due tratti per mostrare un qualsiasi personaggio di rilievo o secondario, che sia Ingravallo, la signora Liliana o più semplicemente la portiera o il garzone.

I dialoghi? Magnifici, superbi. Lo stesso dicasi della descrizione dello scenario di una Roma sorniona, bella da morire, ma anche cinica, fatalista, guascona, ricca e povera.

Chiudo citando un passaggio che mi ha colpito particolarmente: una delle inquiline viene derubata. Il commissario ingravallo, dopo averla squadrata e inquadrata, fa le sue considerazioni.

"...La Menegazzi, come tutte le donne sole in casa, trascorreva le ora in uno stato di angustia o perlomeno di dubitosa e tormentata aspettativa. Da un po' di tempo quel suo perenne pavone nei confronti del trillo del campanello s'era intellettualizzato in un complesso di immagini e di figurazioni ossedenti: uomini mascherati, in primo piano, e con le suole di feltro ai piedi; repentine per quanto tacite irruzioni in anticamera; martellate in capo o strangolamento a mano, o mediante appropriata cordicella, eventualmente preceduto da "sevizzie" idea o parola, questa, che la riempiva di un orgasmo indicibile. Angoscie e fantasie miste: con il commento, magari, d'un batticuore improvviso, per un improvviso crac, nel buio, di un qualche armadio più stagionato degli altri: comunque, anticipate cupidamente all'evento. Il quale, dài e dài, non poté a meno, alfine, di arrivare davvero anche lui. La lunga attesa dell'aggressione a domicilio, pensò Ingravallo, era divenuta coazione: non tanto a lei e a' suoi atti e pensieri, di vittima già ipotecata, quant coazione al destino, al "campo di forze" del destino. La prefigurazione d' ‘o fattacce s'era dovuta evolvere a predisposizione storica: aveva agito: non pure sulla psiche della derubanda-iugulanda-sevizianda, quanto anche sul "campo" ambiente, sul campo delle tensioni psichiche esterne. Perché Ingravallo, similmente a certi nostri filosofi, attribuiva un'anima, anzi un'animaccia porca, a quel sistema di forze e di probabilità che circonda ogni creatura umana, e che si suol chiamare destino. In parole povere, la gran paura le aveva portato scarogna, alla Menegazzi. Il pensiero dominante, a ogni trillo, soleva coagularsi in quel "chi è?" belato o raglio abituale d'ogni reclusa che i mesti lari non arrivino a proteggere. In lei era una gemebonda antifona al trillo, alle più casalinghe istanze del campanello..."

Beh, insomma, io ve lo consiglio caldamente, questo è un libro da non perdere, da leggere con tutti i crismi, quindi direi no metro autobus eccetera per quello c'è FALETTI oppure 50 sfumature demmerda! :)

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