Il ferro si batte bello caldo: dopo il successo della mia recensione di Compagni di Scuola, e rimanendo molto incuriosito dall'apprezzamento di molti di voi riguardo Al lupo al lupo, tento una doppietta. Un film strano questo di Carlo Verdone, intimo e improvvisato, la sceneggiatura fu realizzata a cavallo di altri progetti e il tutto allestito per uscire per le feste natalizie. Poco male, tempo non è necessariamente sinomino di qualità, e nei primi anni novanta il regista era ancora in tumulto creativo. Il risultato è un film che migliora sorprendentemente a ogni visione, un viaggio famigliare, tre fratelli riuniti in cerca del padre scomparso in una odissea privata a raggio toscano, un'occasione per scontrarsi e forse ritrovarsi.

Verdone fu forse ispirato da Io e mia sorella, ma decise nuovamente di allestire un agglomerato di fiction e spunto autobiografico (nella vita ha realmente un fratello musicista e una sorella, oltre a un rapporto molto forte col padre), mischiando le immancabili esigenze commerciali con una vena intima e contemplativa, forse la più intensa mai vista nella sua filmografia. Il risultato è bizzarro, sbilenco nell'esecuzione, con una trama praticamente inesistente ma una abilità unica del regista nel spostare l'attenzione altrove: l'analisi dei personaggi, le interazioni, la solita malinconia esistenziale e i siparietti macchiettistici distensivi e sempre divertenti, anche se un po' meno del solito.

Verdone interpreta Gregorio, DJ burlone e musicista mancato (a sua ammissione, perché non molto talentuoso), Sergio Rubini è Vanni, fenomenale pianista ma con un carattere chiuso e austero, mentre la bellissima Francesca Neri è la sorella Lidia, misteriosa e seducente. Tutti si ritrovano alla ricerca del padre poeta e un po' misantropo compiaciuto, ritiratosi chissà dove (in realtà alla fine scopriamo essere a casa sua), in un viaggio che coinvolge le loro diverse magioni e tappe a Siena e dintorni. Più che altro è un'occasione per ritrovarsi e tirare qualche bilancio, non una novità assoluta nel cinema verdoniano. Si passa quindi dai ricordi di infanzia, a momenti un po' malinconici ricordando quel periodo unico della vita, che nel lessico Verdone è sempre alle nostre spalle, gag onanistiche, rivelazioni sessuali (ma ci si può fidare delle parole della manipolatrice Livia?) nelle scene che sono sempre zona di comfort per Carlo, specie quando spinge l'acceleratore sul romanesco riesce sempre a strappare una risata. Poi arrivano i duri confronti che non risparmiano nessuno: Gregorio è geloso del talento "classico, divino" di Vanni nella sua perfetta esecuzione di Satie, mentre Vanni invidia la promiscuità dei party organizzati da "Doctor Music" Gregorio, tanto da farsi organizzare un rapporto sessuale con una cubista, ma nell'intimo invidia Gregorio anche nella sua leggerezza nel cantare Toccami o Chiudete il Buco (riferito all'ozono!), quella leggerezza che lui nella sua austera perfezione non avrà mai. Livia dal canto suo rispecchia in pieno la nuova donna liberata Verdoniana, emancipata, manipolatrice, seducente e inafferrabile, un po' fedifraga con rimorso (?). La Neri è di una bellezza destabilizzante, forse in questo film al suo apice assoluto, e riesce con il suo sguardo a imprimere una sottile vena di tristezza al personaggio.

Rivedendo il film, quello che mi ha colpito maggiormente, oltre alla delicatissima espressione della "decadenza" famigliare nella quale molti possono rispecchiarsi, sono le intuizioni Verdoniane, come lo scontro tra nozioni accademiche divine e immortali (la musica classica) contrapposte a un neo caos (la musica house, la volgarità, l'improvvisazione), ma che contribuisce anch'esso a identificare l'espressione artistica dell'umanità. Molto bella è anche la visione dell'uomo che cristallizza i ricordi (il ritratto eseguito dal padre nell'ultima scena) come bagaglio esistenziale.

Al lupo al lupo rimane uno dei film più personali di Verdone, un'opera che acquista nuova forza a ogni visione, migliorando negli anni come un ottimo vino. Forse non il più bello in assoluto (per me rientra nei sui 5 migliori), ma un film dove lo spettatore può approcciarsi e simpatizzare nel suo aspetto più intimo.

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