Il capolavoro indiscusso del regista romano continua a splendere dopo tutti questi anni, offrendo allo spettatore nuovi fantastici dettagli. Verdone non è più riuscito a raggiungere tali vette autoriali, ispirandosi in parte a Il Grande Freddo (dichiarato), è riuscito come non mai a racchiudere in due ore tutte le proprie ossessioni umane ed esistenziali.

Un film corale all'estremo, con venti personaggi, molti riusciti, alle prese con il temibile, affascinante e pernicioso invito della rimpatriata del liceo, un giudizio universale e una resa dei conti con una colonna sonora memorabile, tutto ambientato in una villa dalle sfumature quasi sulfuree, pronti per una nottata che cambierà le loro vite. La villa del film si trasforma in un vero micro universo, un Angelo Sterminatore dal quale sembra immune un solo personaggio, quel Fabris immediatamente vessato dai compagni per il solo crimine della diversità: è l'unico a essere profondamente cambiato, non solo nell'apparenza, ma nell'anima, i nostalgici tempi della scuola sono lontani e rimane solo l'imbarazzo di una serata tra sconosciuti. Verdone applica subito un simbolismo evidente nella fastidiosa radice di pino all'entrata, che distrugge tutte le coppe d'olio dei malcapitati, ma non Fabris, l'unico a evitarla senza sforzo, perché era sufficiente guardare avanti. Ma i personaggi non lo fanno, fuggono la loro essenza e le loro tristi situazioni nascondendosi nella farsa, lo scherzo e le macchiette, i ricordi impossibili. E Verdone non dimentica questo aspetto, mette in scena Angelo Bernabucci e la sua genuinità romanesca per allestire i momenti più divertenti, oggi praticamente iconici, e frasi passate alla storia. Ma il regista ha altre mire rispetto a quelle da cinepanettone imposte dal produttore Mario Cecchi Gori, che si manifestano probabilmente anche nella scelta degli attori toscani, Cenci e Benvenuti, che sembrano lì dentro più per esigenze di commedia che altro e che risultano forzati. Gli attori voluti da Verdone (basta seguire qualsiasi intervista) al contrario funzionano magnificamente, a partire dall'inquietante Vallanzani di Ghini, un politico senza scrupoli, manipolatore pronto a sterminare e fagocitare voracemente ogni candore con la seducente carta del potere.

Verdone è talmente convinto del suo cast da entrare in piena azione sopo dopo mezz'ora, una scelta coraggiosa che permette di prendere confidenza coi tanti personaggi. E c'è di tutto: dalla sterile falso cinica, la bellona a perenne carico, l'infantile giocherellone fancazzista, l'ex complessato, il burino arricchito e la psicologa frustrata. Il regista è implacabile nel descrivere per ognuno il retrogusto amaro della vita e la sua ossessione suprema, quel tempo ideale dell'esistenza, che è sempre alle nostre spalle e che cerchiamo invano di recuperare. Non c'è scampo per nessuno in questo girone dell'inferno, ma Verdone ha trattamenti che denotano inusitata cattiveria proprio per i più genuini, che vengono annientati per la loro purezza: Fabris decide spontaneamente di abbandonare il massacro prima della linea di non ritorno, il loquace Postiglione viene narcotizzato, mentre l'innocente ragazza del personaggio interpretato dallo stesso Verdone viene addirittura violentata. Alla fine lei è forse anche l'unica ad aver compreso quel circo degli orrori, affermando che "Non vuole diventare come loro".

Partecipare al rimpatrio significherà per il protagonista anche rovinare irrimediabilmente il proprio matrimonio, ma nell'ultimissima scena, sempre enigmatica in puro stile verdoniano, l'evento sembra portare verso una nuova fase esistenziale tutta da scrivere, con il protagonista in qualche modo ritrovato dopo aver perso tutto. Compagni di Scuola rimane ancora oggi uno splendido capolavoro, una pietra miliare del cinema italiano molto poco indebolita dai trascurabili difetti, uno straordinario horror borghese camuffato da commedia.

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