Cosa si può dire di “Un sacco bello”, film esordio, alla regia, di Carlo Verdone? Innanzitutto … è un sacco bello. Se smettete di piangere dal ridere, vi pongo un’altra domanda: perché “Un sacco bello” è un sacco bello? Che ci sarà mai in questo sacco? C’è un sacco di roba, un po’ di tutto, l’Italia di quel periodo (fine ’70inizio ’80), con le sue macchiette, con i suoi personaggi quasi stereotipici. Ma, nonostante abbiamo le nostre peculiarità (perlopiù negative), siamo tutti nello stesso sacco, sulla stessa barca. Il bambinone Leo la dice giusta all’uomo alla finestra che non fa che lamentarsi: “Fai presto te a dì aò embè là, alla finestra, calmo. Te ce vorrei vedere io a combatte con la vita, co’ e strisce, con l’olio, coi pompelmi, con mi madre. Aò, dice”. È facile, da spettatore, pronunciarsi in esclamazioni sarcastiche o scettiche. Ma chi le fa le cose sa bene cosa voglia dire. Questo è il grande messaggio del film, che il regista e attore romano vuole veicolare. È chiaro quanto ognuno finisca per esser sordo alle necessità altrui, indifferente alle personalità altrui (l’episodio del figlio hippie è esemplare, con tutto quel avvicendarsi di figure tragicomiche, troppo prese dalle proprie convinzioni da non capire la legittimità dietro la scelta o non-scelta di un altro).

È Ferragosto, tre vite diverse tra loro si incontrano, per caso, giusto per un attimo. Potrebbero essere le nostre. Il mondo di “Un sacco bello” è confinato all’Urbe e alla provincia annessa, ma si può estendere a tutto il mondo. Chissà che una ragazza spagnola, bisognosa di aiuto per orientarsi a Roma, non riesca, quasi, a risvegliare l’uomo dentro il bambinone? Chissà che l’incontro alla lunga distanza tra un padre e un figlio, divisi dall’incomunicabilità, non sia l’occasione per rivedere le proprie convinzioni, anche solo per un momento?
Nella notte echeggia un boato. Cosa rappresenta? Un ritorno alla realtà, forse, o un espediente, tra il serio e il buffo, per assistere alle diverse reazioni dei personaggi? Dopo aver chiuso semplicemente le finestre, Enzo continua la telefonata con un eventuale compagno di viaggio, che gli tenga compagnia; Leo, dopo che la ragazza spagnola se n’è andata, ricomincia la vita di prima, monotona, alla mercé della madre; Ruggero (l’hippie) torna alla comunità nei pressi di Città della Pieve, insieme alla sua “fidanzata”.

Verdone interpreta i vari personaggi e si auto-dirige in maniera straordinaria, con una verve e un’immedesimazione completa, avendo alle spalle una gavetta niente male, data soprattutto dagli sketch che recitava in televisione, soprattutto per il programma Non Stop (1978-1979).
Mario Brega, che aveva lavorato con Sergio Leone e con altri grandi registi del cinema italiano, tra i quali Dino Risi, Ettore Scola, Lucio Fulci, Steno e Nanni Loy, da gran caratterista, viene scelto da Verdone a causa del suo forte accento romanesco: il loro primo incontro avviene proprio grazie a Leone. Un’interpretazione coi controcoglioni quella di Brega, nei panni del padre di Ruggero, perché lui non è un attore così, ma un attore cosìììì (allargate le braccia!).

Un sacco bello” è, a mio parere, un capolavoro del cinema comico italiano, e Verdone non riuscirà a dargli un degno seguito. Il successivo “Bianco rosso e verdone” (1981) è sulla falsariga; “Borotalco” (1982), che vira più verso il sentimentale, e non è strutturato a episodi, è un passo in avanti, ma anche qui, si tratta di una meteora, perché con “Acqua e Saponedell’anno successivo ripeterà la formula.

Voto: 8/10

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