A Saucerful Of Thrash - Episodio II: "Jede Schabe ist der schinste seiner Mutter!"*

È opinione comune che la Svizzera abbia ricoperto un ruolo decisamente secondario nell'ambito della breve epopea del thrash medal anni '80 e non è certo mia intenzione attuare un'opera di revisionismo storico volta a rivalutare un bacino musicale indubbiamente minore. Eppure credo sia opportuno tributare alla confederazione elvetica i giusti meriti, se non altro per essere stata patria di due band che, da sole, hanno per certi versi decretato la nascita e il decesso dell'intero genere: Celtic Frost e Coroner.

Da un lato, infatti, è innegabile che la band di Tom G. Warrior sia da annoverare tra le formazioni che, ad inizio anni '80, hanno maggiormente contribuito alla definizione dei canoni della musica estrema tutta. Dall'altro, proprio Vetterli e soci hanno avuto l'onore/onere di denunziare l'avanzato stato di decozione in cui versava il genere, stravolgendone i canoni stilistici con il loro "avantgarde thrash", e sancendone, di fatto, la morte cerebrale per afasia compositiva.

Ciò precisato, è innegabile che la Svizzera non sia stata 'sta gran fucina di talenti. Gli annali thrashofili ci parlano, infatti, di una scena dalla portata davvero modesta, costituita da uno sparuto gruppo di band mai elevatesi al di sopra del circuito nazionale, complice anche una proposta musicale davvero trascurabile. Tra le rarissime eccezioni, meritano certamente una menzione d'onore i Carrion da Berna: quartetto appartenente alla primissima guardia del movimento (pare si siano formati nel lontano 1983), meteorizzatosi nel giro di pochissimo tempo "senza colpo ferire, senza fare rumore" ("...l'orologio batteva i suoi colpi, la Renault diventava una zuccaaa"**), non prima però di essersi aggiudicati l'ambitissimo premio "Band più brutta della storia del medal".

"Evil Is There" (pubblicato nel sempre compianto 1986 per la Sri Lanka records), unica testimonianza discografia pervenutaci dal quartetto, si presenta fin dal primo ascolto come un disco facilmente riconducibile alle coordinate del genere nella sua accezione europea, incentrato su un lavoro ritmico ruvido, veloce, aggressivo ("Antichrist", "Avenger"), ma che, nel contempo, non rinuncia ad un certo gusto per la melodia, per la soluzione meno intransigente, per il ritornello dall'anima catchy ("Games Of Evil"). Un disco che digrigna volentieri i denti, comunque radicato nel solco della scuola teutonica, ma che non disdegna virate verso i lidi meno oltranzisti dell'heavy/speed tradizionale e della NWOBHM ("Restless").

Purtroppo, a fare da contraltare ad un lavoro di composizione tutto sommato discreto, troviamo per lo meno due difetti, che da soli compromettono la valutazione finale del disco. In primo luogo la produzione: secca, spartana, quasi prosciugata da ogni sorta di riverbero. Veramente da osteria. In pratica è come se ciascun strumento fosse stato registrato in un locale diverso di casa mia: le chitarre in cucina (che è il cuore della casa), il basso in cantina (che, appunto, è il locale posto più in basso) e la batteria in bagno (nel senso che fa cagare e basta). In secondo luogo: la prova vocale. Non potendo certo contare su doti canore tecnicamente sopraffine, il povero V. O. Pulver (qui anche in veste di primo chitarrista), offre una prestazione costantemente sopra le righe, che, se da un lato denota impegno e dedizione alla causa, dall'altro risulta il più delle volte eccessiva, soprattutto quando il nostro sfodera urletti strozzati e accenni di growls di cui si sarebbe sinceramente fatto a meno (davvero ghignoso, poi, il fortissimo accento prussiano: "Avenger" diventa una roba tipo "Uuueeeeennggiaaa", "Everywhere" si digi-evolve in "eviueaaahhhuu", "Torero" sublima in "Tooooooreruuuaaaaahh"). Sorvolo poi sugli "UH!" sparsi a casaccio nei vari brani: meglio pensare che, durante le registrazioni, qualcuno avesse la tosse e per sbaglio siano finiti sul disco...

Menzione d'onore, infine, per la poetica delle liriche, in particolare della title track, di cui ritengo opportuno riportare un breve stralcio:
"...evil!
...evil!
...evil!
...evil!
...evil!evilevilevilevilevilevilevilevilevilevilevilevilevilevilevilevilevilevil... EEEVVVIIIILLLLLLLl!!!!!"

...GE-NIA-LE!

In conclusione, "Evil Is There!" può certamente definirsi un album discreto, perfetto esemplare di speed/thrash medal grezzo, ignorante, sanguigno e istintuale. Inutile perdersi su valutazioni circa la scarsa profondità o la prescindibilità della proposta: è un disco per completisti, arresosi al trascorrere del tempo, segnato dall'inesperienza della band, eppure efficacissimo nel garantire all'ascoltatore una piacevolissima alternativa alle produzioni più note del genere. Insomma, non certo un "Chateau Latour del thrash". Piuttosto un buon disco "di medal da tavola": forse un po' ingenuo e, per così dire, "sgarrupato", ma dal gusto forte e sincero, adatto ad ogni occasione.

Dedicata al pizzaiolo rasta. Un po' mi manchi, minchione


* più o meno letteralmente: "Ogni scarrafone è bello 'a mamma sùa". Un grazie sincero a K.
** non vedevo l'ora di riuscire a infilare sta citazione in qualche recensione!!

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