Ciao a tutti! E buon rientro dalle ferie. Io ho ancora qualche giorno residuo, sebbene i soldi comincino a scarseggiare anche per una semplice telefonata e mi tocchi ricorrere a creditori di varia estrazione, ma comincio a riscaldarmi in vista dell'autunno con una nuova incursione nel cinema italiano "minore" che da mesi vado esplorando con Voi, ma, soprattutto, per Voi.

Dunque, bando alle convenevoli e via rapidi con questo "Grandi Magazzini" ('86) film corale tipicamente anni '80 che, nel descrivere con toni ora sapidi, ora grotteschi, l'Italia contemporanea (di allora, ma anche di oggi, se pensiamo alla massiccia diffusione di store, stockhouse, ipermercati et similia a punteggiare ogni tangenziale degna di questo nome) ci offre anche insperati spunti di riflessione circa le sorti dell'Uomo nella società dei consumi.

Quante volte, possibilmente al sabato quando non abbiamo nulla da fare, ci piace cullarci nei lunghi corridoi o nei piani sovrapposti dei magazzini, rapiti dai colori delle scatolette, degli scatoloni, dei vestiti a prezzo zero, dei cd di Gianni Togni o Mauro Lusini a 3 € (e che commozione trovare le vecchie mc, per esempio degli Who, dei Clash - Lost in the Supermarket vi dice nulla? - o degli Alunni del Sole!), scendendo su e giù per le scale mobili, con il terrore di impigliare i lacci delle scarpe o le orecchie del cane nell'ultimo gradino, novelli personaggi dei labirinti di Escher, cercando il consenso della commessa, sperando che non suoni l'antitaccheggio, o che qualcuno non ci infili nel carrellone merce compromettente?

E quanto ci piace, là dentro, sentirci del tutto uguali agli altri, mescolando le nostre pulsioni all'acquisto con l'ansia di non arrivare a fine mese, il desiderio di dare una svolta alla nostra camerétta con un Qualcosa di diverso che ci aiuti a fuggire da quelle quattro mura, la sensazione di comperare l'Inutile, che potrebbe essere gettato ancor prima di andare al parcheggio, ma poi chi se ne importa? Il "Grande Magazzino" ci riporta, in pratica, alla primissima infanzia, in una fase prescolare in cui la nostra unica preoccupazione era mangiare, ed in un certo senso ci fa obliare noi stessi degenerandoci a soggetti dotati di sole funzioni basiche, ignari del nostro Destino.

In un clima del genere possiamo ben apprezzare gli episodi girati dai mai troppo compianti Castellano e Pipolo (il papà di Federico Moccia), che ruotano tutti attorno all'idea del consumo ed ai mezzi (e mezzucci) attraverso i quali si giunge a consumare, in una dimensione ripetitiva e, non a caso, quasi infantile: si va dal ladro robot di Villaggio (a cui non ne va bene una) all'ingenua guardia giurata Boldi, troppo pura per essere adatta al ruolo di vigilante, passando per un De Sica che alterna l'acquisto compulsivo di "roba" al desiderio sessuale (in pratica mescolando i piani), o ad un Banfi simbolicamente escluso dal perimetro del "Grande Magazzino", in quanto inadatto a consumare e ridotto all'accatto, per non dire di una Parisi che si perde nel labirinto del consumo senza le sue lenti a contatto, all'epoca uno status symbol; ancora, si rammenti il Montesano divenuto oggetto di desiderio della decadente Laura Antonelli solo a fronte di uno scambio di persona, in quanto soggetto "abbiente", e non per quello che, "realmente" è (con rimando, sottotraccia, alle note teorie di Erich Fromm). Su tutti, segnalerei due episodi che spiccano per il loro significato tragicomico: un Manfredi ormai al tramonto ridotto a recitare in uno spot pubblicitario, sacrificando il proprio talento sull'altare del danaro; un Pozzetto che, nel segmento migliore del film, inizia come fattorino e finisce per far carriera arrivando praticamente a prostituirsi, nella sostanza vendendo il proprio corpo per danaro, mercificando se stesso e chiudendo un cerchio che parte dall'Infanzia, in cui il consumo è un bisogno, e finisce alla degenerazione dell'Individuo adulto, in cui il consumo è una compensazione di ciò che probabilmente manca.

In sintesi, un buon esempio di cinema, un classico da gustare in compagnia, e non so quanto un'(in)volontaria critica all'edonismo degli anni '80, che spiazza sempre più, man mano che lo si guarda oltre l'apparenza.

Essenzialmente Vostro

 

Il_Paolo

 

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