Dopo aver urlato le sue ciniche invettive contro tutto e tutti nei primi dischi dei Napalm Death, Lee Dorrian decide di lasciare i padrini del Grindcore nella seconda metà del 1989; non è per niente favorevole all’imminente svolta Death Metal che si concretizzerà con l’uscita di “Harmony Corruption”. Riparte subito con una nuova macilenta creatura, i Cathedral, cambiando radicalmente genere ed interpretazione vocale.

Questo Ep di soli quattro brani rappresenta l’esordio del gruppo, pubblicato sul finire del 1990 come demo ed uscito inizialmente soltanto su musicassetta. Viene in seguito ristampato su vinile color viola porpora nel 1994 dalla “Rise Above Records”, etichetta discografica fondata dallo stesso Lee.

Una copertina che vuole in maniera del tutto esplicita introdurci nella musica dei Cathedral: due scheletri uniti in un abbraccio mortale ad una nera bara, con del sangue che ancora fuoriesce copioso da ferite causate da del filo spinato che unisce i polsi dei due esseri ex viventi. Con il logo della band che li sovrasta, anch’esso purpureo, che sa di arcano, di vetusto.

Come dei Black Sabbath a sedici giri, che vanno a fagocitare il Doom asfittico e pesantissimo di Pentagram e Saint Vitus: così iniziano gli otto minuti di “Mourning of a New Day” brano di agghiacciante bellezza dove le due chitarre tessono trame lente, grevi, mastodontiche mai ascoltate in precedenza. “Un nuovo giorno, in movimento statico vado alla deriva. L’atmosfera affonda nel grigiore della mia anima. Il lutto è allo stesso modo l’annegamento di un nuovo giorno”. Così declama il suo personale sermone Lee, con una voce altrettanto pesante che proviene dagli orridi infernali più inaccessibili; voce recante un odore di morte imminente. Canzone che mi provoca ancora, dopo tanti anni dai primi ascolti, insano terrore.

L’incedere si fa appena meno limaccioso con la seconda canzone; un omaggio ai Pentagram e alla loro “All Your Sins”; ma non fatevi ingannare dalle apparenze, perché siamo sempre al cospetto di un sound spettrale ed oscuro che ripercorrere in sacrale modo la lentezza dell’originale scritto da Bobby Liebling (sia lui sempre lodato al pari dei Cathedral).

Poco meno di trenta minuti è la durata del disco che si conclude con gli oltre sette di “March” scritta dal solo chitarrista Garry Jennings, altro membro storico che insieme a Lee costituirà le solide basi di tutta la carriera della Cattedrale. Un brano strumentale, una lunga marcia orripilante, crepuscolare, nebbiosa; la degna conclusione di un’opera prima fondamentale di tutto il Doom Metal che seguirà.

La storia musicale della band di Coventry proseguirà fino al 2013, con una lunga serie di dischi sempre riusciti; ma nessuno, nemmeno l’esordio sulla lunga distanza “Forest of Equilibrium”, saprà raggiungere questa gravosa e morbosa lentezza.

Ad Maiora.

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