Chi troppo vuole nulla stringe, così perlomeno si dice da sempre. Assodato ciò, resta da chiedersi cosa potrà stringere chi, diversamente, non sa affatto cosa desidera... E chi non sa ciò che vuole ma crede di saperlo, cosa ottiene secondo i proverbi? Chi conoscesse i Catherine Wheel, una volta terminato l'ascolto di "Wishville", non riuscirebbe a realizzare quali furono le intenzioni di Dickinson e compagni. Io ci provo, ed azzardo: da un lato riconciliarsi col proprio passato e dall'altro spingersi ancor di più negli abissi della pop song...

Fatto sta che, quando questi ex-shoegazers hanno "raggiunto" il grunge, il grunge era al canto del cigno; dopo essersi mutati in indie band, i "colossi" connazionali del britpop o si squagliavano o più comunemente divenivano monumenti (i.e. caricature) di se stessi. Quale pietra di paragone, dunque, era rimasta disponibile per una band che oramai da troppo tempo s'era lasciata alle spalle il proprio fulgido passato di "Ferment" e "Chrome"? Forse la pop song britannica dei bei tempi andati, o almeno così si evincerebbe dall'ascolto della ballata a basso tono di "My Dog", o dalle sonorità Ziggy Stardustiane di "Idle Life", od ancora dalla psichedelia della finale "Creme Caramel", suggestiva quanto prevedibile.

E non si spiega altrimenti il fatto che in "Wishville" manchi un brano rock, manchi un pezzo da mettere in chart, manchi un indie-rock facile facile per far saltellare gli adolescenti. Al massimo della generosità i Catherine Wheel piazzano un shoegaze-blues nell'iniziale "Sparks Are Gonna Fly" e si riappropriano dei rimasugli della loro gioventù eseguendo "Lifeline" e "Ballad Of A Running Man", brani "d'altri tempi" (quelli del loro esordio), ma eseguiti con arrangiamenti e gusti da pop band qualsiasi.

Un disco che sancisce la fine di una band nel modo più semplice e perfetto: una morte naturale, una fine "fisica" che coincide giustappunto con quella ispirativa. La parabola che, alla fine, arriva allo zero.

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