Se esiste una formazione rock a cui applicare propriamente il proverbio dell’abito che non fa il monaco, questi sono i Cheap Trick. Il primo da sinistra in copertina è il batterista Bun. E. Carlos: pare un salumiere, invece picchia come un fabbro sullo strumento e sfoggia rullate lunghe, precise ed efficacissime sullo snare. Il biondino che gli sta accanto sembra invece uno dei Cugini di Campagna: è peraltro capace di produrre urli da accapponare la pelle. Il moro belli capelli, ovvero il potente bassista Tom Petersson, è l’unico con adeguato phisique du role ma quest’episodica coerenza estetica è largamente controbilanciata dal tizio ultimo a destra ovvero il leader, il chitarrista e principale compositore Rick Nielsen, raro esempio di perfetta applicazione in campo musicale del disturbo schizotipico di personalità.
Pare un cazzone, invece è il musicista più lucido, equilibrato, economo, intelligente, appassionato e preparato che vi sia. Ha studiato a fondo tutti i giri di chitarra giusti, quelli di Hendrix, Page, Beck, Green, Berry, Iommi, Townshend, Clapton e li usa senza soluzione di continuità per confezionare gioiellini di hard rock deciso ma melodico, rumoroso ma ruffiano, rendendoli con un suono di chitarra sempre perfetto, quale che siano marca e modello scelti per la bisogna, pescando peraltro dalla sua collezione di proverbiale consistenza (attualmente circa duecentocinquanta chitarre). Sul palco si veste da pirla, si agita, zompetta e fa smorfie e gag tutto il tempo (ora di meno, tiene sessantasette primavere…), si mette a tracolla strumenti demenziali (anche una chitarra con cinque manici) ma non perde una nota, preciso ed efficace, senza farla tanto lunga cogli assoli e preferendo lavorare di ritmica, talvolta anche nei break strumentali. Un grande chitarrista e un fenomeno spettacolare… solo Angus Young degli Ac-Dc è alla sua altezza in quanto a “bipolarismo motorio/esecutivo”, diciamo così.
L’album in questione rappresenta l’esordio del quartetto dell’Illinois in campo discografico (anno 1977) ed è un magnifico incipit: i ragazzi sono già belli maturi e navigati e la musica contenuta è di particolare energia, percorsa persino da fermenti punk, selvaggia ma competente, fresca e urgente. Il frontman Robin Zander sfoggia un sensazionale timbro a’la John Lennon di “Twist and Shout” ma ben più rabbioso e sonoro: polmoni d’acciaio per questo cantante, capace poi di svariare in paraculissimi falsetti che gli procureranno ben presto un gratificante ruolo di sex-symbol, ma parallelamente anche una controproducente nomea di superficialità al gruppo.
Non vi sono quasi riempitivi in questa discesa in campo col botto, che a suo tempo avrebbe meritato un maggiore riscontro di popolarità (come noto a molti, dovranno aspettare il quarto album il live “At Budokan” per essere promossi in serie A). L’iniziale “Elo Kiddies” è un ibrido hard-glam che presenta in maniera folgorante le camaleontiche doti vocali di Zander, che alterna un canto glam falsettato ad un altro hard rock a piene tonsille. La cover di Keith Reif che segue vien resa con la grinta e l’intensità di un treno e serve a caricare al massimo le orecchie per l’approdo a “Taxman, Mr.Thief”, una lussureggiante faccenda di chitarre in eccellente evidenza, riff bellissimi, la voce tosta di Zander che beatleseggia su cambi di accordo genialmente armonici. “Cry, Cry” è uno shuffle roccioso con il savoir faire Lennoniano del frontman in pieno spolvero, mentre “Oh Candy!” è molto nello stile hard-pop a litania che li renderà famosi, ma in questo contesto così tosto ed urgente fa la figura del semplice riempitivo.
La seconda parte del disco (che ai tempi dell’ellepì si chiamava “side 1” mentre le canzoni precedenti stavano sulla “side A”… tipica boutade dei Cheap Trick, che del resto sta in inglese per scherzetto, burla) esordisce con una scheggia r’n’r, una sorta di “Johnny B. Goode” però più pesante e ricca di accordi, chiamata “Hot Love”. “Speak Now” è uno sgangherato mezzo punk di passaggio verso “He’s a Whore”, semplicemente stupenda nei suoi passaggi fra la strofa aspra e ruvida e l’apertura armonica, risonante, appagante del ritornello. “Mandocello” è l’unica ballata: parte e finisce acustica ma nel mezzo è condotta da una ritmica accidentata e senza compromessi, sormontata dalla divina voce di Zander che assolve spettacolarmente a mezzo di un reverbero all’incontrario. La ciliegiona finale è costituita da “The Ballad of T.V. Violence”, un’apoteosi della chitarra di Nielsen, con trascinante bolerino centrale e parossistici urlacci finali da pelle di cappone sulla schiena.
Grande voce, grandi e profonde chitarre, grande e tuonante basso, grande batteria, belle idee, bella personalità e ispirazione… il primo album dei Cheap Trick è stata per me un’epifania. Peccato che i quattro non siano riusciti a mantenere tale intensità a lungo, diluendo l’ispirazione dopo i primi quattro o cinque lavori in maniera tale da mantenersi sempre decorosi ma non così entusiasmanti. Basta e avanza comunque per considerare Cheap Trick una grande pagina di rock americano.
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