Se nel Deserto del Mojave si rinvenisse una lettera sepolta sotto la fine e polverosa sabbia, quella sarebbe dedicata a Hiss Spun. Non la si potrebbe trovare in altri luoghi del mondo, se non in California. Una certezza assoluta che si risveglia dalla profondità degli abissi e che ha una sola firma possibile in calce: Chelsea Wolfe. La cantautrice di Sacramento si rialza dopo aver navigato in stati di coscienza d'ispirazione junghiana. La coltre di nebbia si dirada insieme alla profondità solitaria della notte. Dalle finestre di un vecchio lodge filtra il primo sole rovente per un risveglio che cancella tutte le lune vissute insonni. Dalla caduta non può che sorgere una nuova alba. "Hiss Spun" nasce come vero e proprio figlio dannato dello stato californiano e dell'intimismo di Chelsea Wolfe, che decide di razionalizzare la sua tempesta interna e rigettarla nella crudeltà del mondo. Per concepire un simile concentrato esplosivo ha chiamato degli alleati di prim'ordine: Kurt Ballou alla produzione, le guest star Troy Van Leeuwen e Aaron Turner ad incendiare ulteriormente i suoi demoni. Non serve che vi dica le rispettive band dei signori appena citati, vero?

Ma perché la California, vi chiederete. La musica di Chelsea è sempre stata estrememente personale, spinta dagli istinti. Non c'è mai stato nulla di artificioso, l'onestà è la chiave di lettura per entrare nella sua galassia. Decide così di riavvicinarsi a casa, Sacramento per l'appunto, allontanandosi dall'alienante Los Angeles. Se c'è una cosa che ricordo con assoluta lucidità sono i paesaggi che s'incontrano nel traggito che ti porta verso la capitale. Non sto parlando dello splendore della Pacific Highway, ma della sensazione d'aridità che ti trasmette la California Centrale. Se dovessi usare una parole chiave, abbandono, probabilmente sarebbe la prediletta. Badate bene è per questo che la amo, a suo modo. E, forse, è pure il motivo per cui amo ogni singola composizione di Chelsea Wolfe dai tempi lo-fi di "The Grime And The Glow". Nella città natale ritrova una vecchia amica, Jess Gowrie. Da ragazzine hanno suonato insieme e, quando intervistata, la definisce una delle persone fondamentali che l'hanno aiutata a vincere la timidezza che la portava ad esibirsi con il velo a coprire gli occhi. Il suo ingresso nella band, unito alla presenza dello storico partner Ben Chisholm, ha fatto sì che si sperimentasse a volumi sempre più alti. L'energia sprigionata è l'emblema di Hiss Spun.

Il simbolismo, spesso naturale, tra ninfe e rifugi, è un'altra componente insostituibile nella vita di Chelsea. Vi basti questo: "Hiss is the white noise of the universe, the comforting sound. Spun is the addiction and the withdrawals". E non finisce qui, nell'evidenziare la ciclicità delle parole che compaiono nei 50 minuti di Hiss Spun: "Flux represents movement and flow, hiss is the positive life force, welt is the brutality of life, and groan represents sensuality and death." Per questo definire "Hiss Spun" liberatorio è quanto mai necessario. Lo è, in primis, per la Wolfe stessa che esorcizza paure facendolo nel modo migliore che conosce: spettrale. Attinge sempre di più dal suo antro, inserendo campionamenti di scratches durante la lettura di un libro di Walt Whitman, oppure affidandosi al fido Chisholm che in una notte desertica registra degli ululati di coyote e li campiona in "The Culling". La cura maniacale nel concepire le atmosfere maligne, rendono Chelsea Wolfe una regina dell'oscurità che si nutre delle sue debolezze "You cut me open, you lived inside, you kill the wonder, nowhere to hide", dei tradimenti subiti "I swore off obsidian thoughts, and lay awake on broken glass, I bled out more than once", degli amori perduti "I am depleted by love", per costruire la sua forza magnetica: "Though you try to swallow me whole,
I succumb to nothing."

Osservando la decadenza opprimente del Salton Sea, Chelsea partorisce nella sua mente l'idea che si trasformerà in "Vex", tanto per continuare il fil rouge di quanto tutta la sua musica sia specchio lucidissimo della sua personalità. Hiss Spun arde come non mai. L'anima eterea entra in sintonia con quella violenta delle distorsioni doom e sludge delle chitarre. Quest'ultime non sono più solo influenze, bensì l'essenza vitale. Un'essenza catturata magnificamente da Kurt Ballou nei suoi God City Studios. Le litanie stregate di Chelsea non sono più l'unico cuore delle composizioni. Le memorie non ricompaiono solo nella sua vita a Sacramento, ma anche a livello musicale, con vaghe influenze dei tempi di "Ἀποκάλυψις". I frammenti noise, il folk apocalittico e i layer elettronici apparecchiano la tavola per un'esplosione che ricordano delle grida catartiche. È come se Chelsea raccogliesse a sé tutti i suoi pensieri più nascosti, comprimesse muscoli, vene e, aprendo gli occhi, decidesse di sfogarsi senza alcuna pietà e filtro. Questo è Hiss Spun. Non è più lo stato di stasi e narcolessi di "Abyss" è la repulsione che prende forma:

"I don’t need your help or your hindrance. You stay the fuck away from me."

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