Ho letto in giro che questo film non avrebbe protagonisti e i nemici non si vedono mai. Per me è esattamente il contrario: Dunkirk è un film di protagonisti, perché in una situazione complicata come quella narrata, sono le scelte individuali a far la differenza. Non esiste la guerra come fenomeno collettivo, ma come tante tessere individuali, tanti destini che si intrecciano nei modi più imprevedibili e complicati.

Ma non è questo che rende l’opera di Nolan memorabile. Questo è un film che fa della forma, dello stile, la sua prima prerogativa. E la qualità delle scelte e della loro messa in atto è francamente impressionante. Non sono tanto le parole e i dialoghi, quanto piuttosto le immagini, i rumori e la musica a fare la storia, a costruire una suggestione enorme nello spettatore.

Un lavoro che è cinema allo stato puro. Di più, è una celebrazione delle potenzialità del mezzo cinematografico, a prescindere dalla narrazione pura. Il cinema non è per forza un’arte che racconta in forma verbale qualcosa. Dunkirk se ne fa poco della componente verbale. Ha la musica, ha i ticchettii snervanti, ha una fotografia meravigliosa e una ricostruzione incredibilmente realistica delle scene, che siano in cielo, in mare o sulla spiaggia.

Un film di un’ora e tre quarti che è però un’unica scheggia di adrenalina, impostato come un crescendo di tensione costante. Ma la tensione dovrebbe essere circoscritta a un periodo limitato, per funzionare. Nolan smentisce questa regola e tenta qualcosa di inedito. Ci riesce grazie alla collaborazione con Hans Zimmer e un uso magistrale di musiche e suoni: l’effetto è quello di un costante aumento della tensione, ma di fatto è un ripetersi ciclico di schemi musicali appositi. Un’illusione, di fatto, che porta a macerarsi nel nervosismo, senza grossi sfoghi catartici dell’adrenalina. È un lento morire, come quello dei soldati sulle spiagge, una quiet desperation che ha come primo pungolo l’impossibilità di essere padroni del proprio destino.

Non è una guerra deflagrante quella che ci mostra Nolan, è una guerra che svilisce e sfinisce lentamente gli animi, un declinare della fiammella della vita di ognuno. E oltre alle azioni dei personaggi, c’è la musica a dare il ritmo delle loro anime.

Se le note e i rumori danno il sentimento, la visione e le immagini danno il raziocinio, la componente tattica e logistica. Anche qui, siamo di fronte a un nuovo stato dell’arte dal punto di vista visivo per ciò che viene trattato. Mai visti duelli aerei così realistici, tesi eppure mai trionfalistici, mostrati sì e no, limitati nella visione come è limitato lo sguardo dei piloti.

Anche le sequenze in mare sono impressionanti per realismo a vastità dello sguardo. Questa bellezza estrema è frutto di una duplice scelta, che coniuga cinema d’altri tempi e le tecnologie più avanzate. Da una parte sono stati usati aerei e navi reali, alcune anche d’epoca, e modellini piuttosto che effetti di computer grafica. Dall’altra, è stata usata la cinepresa Imax a mano per la prima volta e sono state pure montate sugli aerei. Insomma, un capolavoro tecnico. Un cinema che immerge negli scenari e ci fa quasi toccare oggetti e materiali; è un cinema tattile, che minimizza il divario con il mondo reale.

La preponderanza delle componenti stilistiche e tecniche non impedisce a Nolan di costruire un significato intorno alle vicende trattate. C’è lo spirito di sopravvivenza, che può essere chiamato egoismo, e nessuno qui si permette di giudicarlo male. C’è, punto. Ma c’è anche l’altruismo, c’è la volontà di mettere a repentaglio la propria vita per tentare di salvare gli altri. Anzi, salvare gli altri implica sempre un pericolo, un rischio. Questa nobiltà d’animo non viene mai portata in trionfo in Dunkirk; è tutto molto pratico e concreto, l’unico valore che conta è la vita umana, la salvezza di quante più persone possibili. Per questo anche chi cerca semplicemente di salvarsi la pelle merita rispetto e a lungo andare non è detto che non dimostri affezione anche per le vite altrui.

Il nemico c’è, non lo si vede in faccia, ma è ben presente. Anzi, gli attacchi aerei tedeschi, micidiali e rumorosissimi, si trasfigurano e vanno oltre la pura contingenza della guerra mondiale. C’è l’uomo, disperato sulla spiaggia della vita, e poi ci sono gli accidenti, il male della vita, «the thousand natural shocks that Flesh is heir to». L’uomo può cooperare per la propria salvezza, può donarsi all’altro, oppure può arrabattarsi per la sua propria sopravvivenza. Ogni via è legittima, resta il travaglio di ognuno per l’esistenza.

8.5/10

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