La Quiete Dopo la Tempesta” scriveva il buon Giacomo Leopardi a complemento de “Il Sabato del Villaggio”.

Chissà, forse la ditta Willits & Sakamoto è approdata ai calmi fondali di “Ancient Future” perché prima inghiottita dal torbido maelström di “Ocean Fire”.

Se la vita è un’oscillazione in cui il pendolo emotivo tocca nei suoi loops picchi eccezionali di fulgida ebbrezza, la norma sta nei lentissimi movimenti che separano le lacrime di felicità dalle risate di nera disperazione.

Ancient Future” (l’oscillazione) ha un senso solo se rapportato a “Ocean Fire” (il picco).

L’affogato è oltre ormai: oltre la disperazione, oltre il rimpianto, oltre il dolore. E’ semplicemente Oltre.

Alla deriva perpetua traghettato dai claudicanti synths di Sakamoto, dalle sue scarne linee al pianoforte che esitano un istante per poi fluire nel sound, che giunte a un crocìcchio scelgono la via da seguire dopo un’occhiata circospetta.

C’è qualcosa di assente in questo disco, qualcosa avvolto dall’oblìo. Non una volontaria omissione o una studiata approssimazione, ma piuttosto un’immagine che proprio non riesce a materializzarsi, uno stato d’animo che fatica a circoscrivere l’oggetto delle sue attenzioni.

Carezze al pianoforte che si stratificano nella coscienza una dopo l’altra, senza fretta, elargite dalle dita di lunghi e tiepidi riverberi. Come se l’Eno di “Music for Airports” fosse svuotato del suo afflato formale e calibrato in una dimensione più umana, più sostanziale.

I liquidi contrappunti della chitarra di Willits scivolano e scorrono negli interstizi lasciati da Sakamoto: il Passato è finito, il Futuro non è ancora arrivato, non rimane che l’agrodolce contemplazione del Presente.

Talvolta mulinelli al computer offuscano le cornee come piccoli vortici di polvere, ma non rimandano a nessuna Jenny, né tantomeno alla sua gonna. Sono correnti sottomarine, agenti dell’oblìo che cullano l’affogato come una smisurata preghiera.

Come se il primo Roach (quello di “Structures from Silence”) fosse ripulito da qualsiasi velleità mistica per essere ancorato in un mood minimale e terreno, come se Willits & Sakamoto stessero facendo una lunga e profonda inspirazione, come se l’affogato non avesse più paura o terrore, ma fosse solamente grato per la sua solitudine.

Nel II Atto de “Il Giardino dei Ciliegi” i personaggi sono in una piccola strada che costeggia la proprietà e, credendo di conversare tra loro, seguono soltanto il filo dei propri pensieri incuranti delle tempeste socio/economiche che presto li travolgeranno.

Questo climax rarefatto, questa introspezione quasi dissonante rispetto ai traboccanti desideri (latenti o meno) che permeano il resto della pièce cechoviana aumentano per contrasto la bellezza, la portata e il senso di questa parte.

E così anche questo “Ancient Future”: ascoltato di per sé è un disco ambient come molti altri (nonostante la classe, il tocco di Sakamoto emergano a più riprese), ma in realtà è da considerarsi come l’altra faccia della medaglia del nero gorgo di “Ocean Fire” (e l’ossimoro dei due titoli non è certo un caso).

E l’affogato?

Se avesse ancora un pensiero cosciente non potrebbe essere altro che questo: “Il naufragar m’è dolce in questo mare”.

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