Sono mesi che passa in negozio e mesi che procrastina il momento. Ma alla fine decide di comperarsi gli sci d’alpinismo ed all’inizio è una sensazione di pura libertà poter scendere dove vuole lui. Comincia a salire verso la cima la mattina presto quando gli impianti, ormai disseminati per tutta la regione, sono immobili ed il vento è ancora a dormire. Qualche foto dalla cima e poi giù a rompere la neve immacolata con quel suono agro-soffice che non ci sono lettere dell’alfabeto che possano descriverlo. Si gira ed è una soddisfazione che lo fa urlare il poter ammirare le nitide ed impeccabili S che ha lasciato sul crinale con le sue plastiche pieghe. Sta molto attento in queste prime uscite e cerca di non esagerare nella scelta degli itinerari scegliendo quelli più sicuri, ma un bel giorno si rende conto che ripetere quanto fatto negli anni precedenti gli risulta banale, quasi inconsistente: per nulla appagante. E così alza l’asticella, cambia compagnia e va alla ricerca di montagne più cazzute, dislivelli più impegnativi. Controlla sempre il pericolo valanghe, ma con sempre minor timore. Si è comprato l’ARVA, ha fatto un corso per andare in ghiacciaio e comunque con tutta quell’esperienza che ha accumulato in una manciata di dense stagioni un pericolo 3 nella sua testa equivale a un pericolo 1. E’ questo quello che crede e non è, come potrebbe pensare un neofita da fuori, stupidità, ma una malattia. Un morbo che ti prende e ti fa affogare e soffocare dolcemente nel tuo narcisismo. Perché non è possibile che ogni inverno siano sempre i fottuti super-esperti coloro i quali terminano le loro esistenze sotto metri di bianca coltre.

Qualche settimana fa è capitato ad un ragazzo. Lo conoscevo. 

Sono poche, spero pochissime perché non le invidio affatto, le persone che non hanno un piccolo talento, un hobby, una passione, un vizio che sono soliti coltivare avidamente come una valvola di sfogo dalla mera quotidianità. Tuttavia se non stiamo particolarmente attenti, convinti di poterle domare come nel passato, queste attività possono prendere il sopravvento e diventare vere e proprie ossessioni; allora capita che si perda la ragione ed il senso della misura. Perfino l’innocente acqua naturale può avere effetti collaterali devastanti se presa in dosi quotidiane eccessive. Concludendo il discorso se si corre troppo veloce, si deve saper accettare il rischio di poter cadere rovinosamente. E di questo, e di molte altre cose, tratta Come un tuono.

Apparentemente lo sbandato ed il silenzioso chiodo da bara Luke (Ryan Gosling), ex stuntman ed ora rapinatore di banche, ed il pulito poliziotto Avery (Bradley Cooper) hanno ben poco in comune a parte l’essere due giovani padri. Entrambi non si accontentano di quello che hanno. Costante bisogno di adrenalina e di soldi per mantenere un figlio che non sapeva manco di avere, contrapposta a voglia di uscire dall’anonimato per diventare qualcuno partendo dal basso. E’ un film lungo, ma per nulla pesante proprio perché intenso, vibrante con momenti di pura adrenalina e frenesia (resi al meglio dal montaggio delle scene e dai dialoghi) alternati ad altri più riflessivi, drammatici (primi piani e fotografia) e commoventi nei quali viene descritta la forza dei sentimenti senza cadere nella retorica o nello stereotipato grazie ad un cast di alto livello.

"Come un tuono" è un action movie drammatico di classe dalle tinte assai violente: un misto tra "Drive" e "Blue Valentine", capace di appagare visivamente la platea e contestualmente di farla elucubrare sulla circolarità degli eventi; sulla complessiva meschinità della vita e sulla forza dei sentimenti, (la nascita di un figlio in questo caso) come unico elemento capace di minarne il cinico equilibrio. Trattare tutto questo in modo asciutto e potente è un’impresa mica facile per un lavoro che rimane imprevedibile fino all’ultima parte quando i figli dei due protagonisti si scontreranno, a distanza di 15 anni, per chiudere quanto lasciato in sospeso. Il caso come miglior sceneggiatore possibile per far zampillare nuovo sangue, distante una generazione, da una ferita mal saturata. I titoli di coda arrivano con una fotografia commovente che chiude il cerchio e riunisce metaforicamente lo stuntman Luke ed il figlio Jason con lo stesso rumore che li aveva fatti ridere e piangere in uno di quei pochissimi momenti che avevano vissuto insieme.

Il film ha tanti pregi e Ryan Gosling, con un’ora scarsa a disposizione, lo eleva confermandosi un attore eccezionale.

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