I Circle Jerks appartengono a quella cerchia di gruppi punk sulla cui carriera grava l’ombra ingombrante del primo album. Maledetti da un esordio talmente iconico e perfetto, queste band non riusciranno mai più non soltanto a raggiungerne i vertici, ma neanche ad andarci vicino. Pensate agli Adolescents, ai Bad Brains, ai nostri Raw Power. Tutte band che hanno avuto una carriera dignitosa, ma sempre sottotono rispetto al capolavoro partorito al primo colpo. I Jerks, dopo il fondamentale “Group Sex”, pubblicheranno album per altri quindici anni, sempre meno gradevoli, sempre più dimenticabili, sempre più impietosi rispetto a quei quindici incredibili minuti che da soli valgono discografie intere. “Golden Shower Of Hits”, datato 1983, è l’ultimo album degno di nota, nonché l’ultimo della formazione storica.

Questo terzo lavoro di Morris e soci prosegue sulla strada presa nel precedente “Wild In The Streets”: canzoni sempre travolgenti ma meno veloci, più cadenzate, di maggiore durata rispetto ai frammenti incandescenti dell’esordio. L’unica scheggia hardcore vecchio stile è l’iniziale In Your Eyes, dopodichè si passa ad un punk rock grintoso e accattivante nei brani più veloci e orecchiabile e un po’ ruffiano nei brani più cadenzati, che dimostrano il crescente interesse della band verso le sonorità power pop, sempre più dominanti negli album successivi. Tuttavia, non sono molti i brani che si lasciano ricordare: abbiamo When The Shit Hits The Fan e Coup d’Etat, che finiranno nella colonna sonora di “Repo Man” l’anno successivo e rimarranno nelle scalette dei concerti a venire; Parade Of The Horribles, Product Of My Environment e Red Blanket Room, essenziali e melodiche come nella miglior tradizione californiana, confermano che i Circle Jerks danno il meglio con il punk stradaiolo e riottoso. Quando svaccano, invece, è nei pezzi più lunghi: Bad Words ricorda una brutta imitazione di uno scarto degli Stooges di “Fun House”, Under The Gun fosse durata la metà si sarebbe salvata e Rats Of Reality rasenta addirittura la noia. Stupisce, invece, la title-track finale, un medley di cover di brani romantici che vanno a formare una sorta di operetta pop punk oscillante fra il divertente e l’imbarazzante.

In sostanza, è un album non certo imprescindibile, ma che tuttavia si lascia ascoltare volentieri: consigliato ai completisti del punk californiano.

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