Cirith Ungol...
Un lettore distratto potrebbe erroneamente fare l'equazione: Cirith Ungol = Il signore degli anelli = Metal alla Blind Guardian con tematiche fantasy e ritornelli melodici cantati in coro stile Oktober Fest. Ma non sa quanto si sbaglierebbe quel lettore distratto!

I Cirith Ungol sono stati una colonna portante del Metal epico degli '80, e ne hanno rappresentato l'anima più decadente e cupa. Sono stati perdipiù una band che non ha avuto il successo che meritava tra i contemporanei (anche la loro casa discografica non credeva in loro), e che sono stati rivalutati solo nella decade successiva. Il motivo del loro insuccesso sta nella loro proposta musicale: cupa, oscura, inaccessibile ai primi ascolti.

La band è formata da Tim Baker (voce), Jerry Fogle (chitarre), Robert Garven (batteria), Michael "Flint" Vujea (basso). Quello che più colpisce l'ascoltatore è il ritmo lento e oppressivo, la voce sguaiata e acida perennemente accompagnata da un effetto eco e il grande lavoro del basso. "King of the Dead" è il loro secondo album, datato 1984 e rappresenta il vertice assoluto tra i 4 album di questa band. "Atom Smasher" colpisce per la sua carica agressiva nelle strofe e il ritornello marziale, scandito dalla batteria, con Tim che urla a squarciagola: "Here it comes, there it goes Just a flash in the sky Atom Smasher, here he comes Better run for your lives".
Segue "Black Machine", più lenta e cupa, e si arriva alla grandissima "Master of the Pit" in cui una introduzione strumentale di quasi 2 minuti con un grande assolo di Fogle conduce al tema principale del brano, malsano e oscuro infarcito di un altro assolo a cui segue una parte finale più veloce di grande effetto. La title-track è un altro compendio di malvagità in cui la visione nichilista del mondo da parte della band trova il suo culmine, con un testo apocalittico che esalta il Re dei Morti, sceso in terra per punire l'umanita per i suoi peccati. "Death of the Sun" liquida il suo testo nel primo minuto, per lasciare la band a briglia sciolta negli altri 2, in cui si evidenzia, manco a dirlo, il grande talento di Jerry Fogle. "Finger of Scorn", la canzone più lunga con i suoi oltre 8 minuti, parte con un'intro acustica medievaleggiante, per tramutarsi in una lenta canzone funerea il cui ritornello è dominato dalla batteria per creare un'atmosfera belligerante.

La capacità del gruppo di creare atmosfere tetre da qualsiasi cosa, anche dalla musica classica, viene messa in mostra col rifacimento della "Toccata in Do minore" di Bach. Chiude l'album "Cirith Ungol", vero anthem del gruppo, suonata in ogni concerto con cui il gruppo diventa parte della storia del Metal.

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