Da 10 anni a questa parte, se esiste ancora un motivo per dare credito a chi giura di essere e suonare punk, quel motivo è Amyl And The Sniffers.

Poi ci sono questi Civic, stanno la porta accanto ad Amy ed hanno all’attivo già due album, oltre un paio di ep, tutto molto bello, quanto basta per farne la reincarnazione più credibile dei dinamici connazionali Radio Birdman e Saints.

Le masse attratte da Amy per il momento le vedono col cannocchiale, però un successo del genere se lo meriterebbero tutto, anche se per loro non arriverà mai: nel senso che l’inatteso successo di Amy – quello vero, i dischi venduti a milioni, i Glastonbury a destra e i Primavera a sinistra – non è per via di un’illuminata cospirazione panchettara talmente ben orchestrata da conquistare il mondo ma di una imponderabile, terrificante e irripetibile botta di culo.

Comunque sia, quello che mi piace di più dei Civic è che, proprio come l’allegra brigata di sniffatori, ad un certo punto pure loro hanno scartato di netto per liberarsi dalla marcatura asfissiante di un genere che, forse, nemmeno è mai esistito ma che di certo vanta tra le sue fila di appassionati i fanatici più ottusi che si possano immaginare, oggi esattamente come nel ‘77.

È una storia vecchia come il cucco, se è vero come è vero che ai Clash ho voluto un bene dell’anima fin dalla prima volta che ho sentito quella sirena ma quando poi sono arrivati a “London Calling” e ancora oltre a “Sandinista”, a quel bene dell’anima si è aggiunto qualcosa d’altro; la stessa qualcosa che ho provato qualche anno fa per Amy al tempo di “Comfort To Me”; ancora la stessa qualcosa di oggi per i Civic di “Chrome Dipped”.

A occhio e croce, si tratta di rispetto e per me vale anche di più della pura e semplice ammirazione per gente capace di regalarmi un momento di emozione solo imbracciando una chitarra.

Di certo, questo “Chrome Dipped” qualche ottuso, uno di quelli che dicevo qualche riga più su, lo schiferà e ai Civic appiccicherà l’etichetta di “venduti” perché qui dentro di Birdmen e Saint non c’è praticamente traccia.

Per fortuna dentro ci sta tanto d’altro e Rob Younger sarebbe stato orgoglioso di produrre anche questo, mi ci gioco la testa.

Provando a spiegarmi con poche parole, tanti anni fa, quando sragionavo di una mia passioncella chiamata Plan 9, mi divertivo a sparare la cavolata di una versione evoluta del garage punk, per dire che insomma facevano una musica che poteva piacere tantissimo anche a chi non sapeva nemmeno che roba fossero le Nuggets e le Pebbles; allo stesso modo, “Chrome Dipped” ha tutto per piacere anche a chi, se gli esalto i Sex Pistols, corre a cercarseli su YouPorn.

Poi, è vero che di Radio Birdman e Saints non è rimasta traccia, però le radici affondate nel punk sono ancora ben salde e stanno lì a testimoniarlo con forza “The Fool”, una bellissima “Starting All The Dogs Off” che tanti anni fa si sarebbe detta art-punk o una “Swing Of The Noose” che mi sa tanto di swampland in salsa settantasettina adattata al tempo che corre. Tutto bello.

Più bello ancora il resto del programma, che è post punk nel senso che rispetto a quelle quattro lettere, rispetto a quella parolina, i Civic sono andati un bel po’ oltre, basta sentire proprio la title-track, oppure quella straordinaria ballatona che le va subito dietro che è “Gulls Way”, o a ruota il maligno punk evoluto (ecco, appunto) di “The Hogg”.

Una decina di minuti che potrebbero spalancare ai Civic i portoni del successo, quello vero.

Se solo le botte di culo fossero ripetibili.

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